Torna al cinema l'accoppiata Salvatores-Ammaniti, sei anni dopo la fruttuosa collaborazione con "Io non ho paura" (apice dell'ultima fase professionale per entrambi). I presupposti per un eventuale bis sembravano esserci tutti: un Premio Strega per l'ultima fatica dello scrittore (e un lancio inevitabile per l'adattamento), il successo in televisione per la serie tratta dal penultimo (sopravvalutatissimo) film del regista. Eppure le nuvole di tempesta che campeggiavano sulla copertina del libro (e che ricreano, metaforicamente e meteorologicamente, anche l'atmosfera del film) lasciavano in qualche modo presagire un risultato tutt'altro che sereno.
A partire dal libro in sé: decisamente non uno dei migliori di Ammaniti, capace sì di creare una coppia di protagonisti memorabile (mai si era narrato un rapporto padre-figlio così intenso, contraddittorio, drammatico) e di ricreare un mondo spietato, cattivissimo, malato (di tv, di icone mediatiche) dove far crescere idealmente il bambino di "Io non ho paura"; ma carente poi in tutto il resto, a partire da una caratterizzazione poco convincente dei comprimari per arrivare poi ad una trama al tempo stesso troppo esile (il filo narrativo principale) e troppo sgangherata (quello secondario della rapina al bancomat, nel film tolto completamente).
Indi per cui, il "Come Dio comanda" del grande schermo non partiva granché bene, rischiava a seconda dell'adattamento in sceneggiatura di risultare troppo dispersivo, confuso (ed ecco spiegato il motivo del "taglio" di uno dei personaggi) oppure troppo sbrigativo (bene concentrarsi su Rino e Cristiano padre e figlio, ma rimane comunque un po' poco).
A questo si aggiunge lo stile di regia dell'ultimo Salvatores, vera e propria "croce e delizia" per l'insieme (si veda ad esempio "Quo Vadis Baby?"): "croce" quando si impunta con un uso della macchina da presa a mano quantomai mobile e ballonzolante, con un montaggio veloce e frenetico (jump-cuts, movimenti veloci e "a schiaffo": uniti assieme causano quasi un effetto da mal di mare) e con recitazioni sempre concitate, esasperate, poco credibili; "delizia" quando invece recupera il gusto per una potenza visiva dell'immagine decisamente efficace (e se in "Io non ho paura" erano gli assolati campi di grano siciliani a farla da padrone, qua sono le asprissime vedute spoglie e desolanti delle cave di marmo friulane a restare impresse), funzionale anche nel creare l'atmosfera desiderata (è il caso del bosco fangoso ed intricato e della pioggia incessante che rendono la parte centrale del film quasi un horror, in linea con l'"orrore reale" che si sta consumando).
A questo si aggiunge una colonna sonora azzeccata anche se un po' abusata (il post-rock dei Mokadelic non c'entra, è la canzone di Robbie Williams che viene usata per tre volte esattamente nello stesso motivo e allo stesso punto!).
Ci sono poi i personaggi. Ora, date tutte le attenuanti del caso (fare di un libro un film non è mai facile, o tagli troppo o tagli troppo poco, come rimpiazzi i monologhi interiori?), resta però il fatto incontrovertibile che "manchi" clamorosamente qualsiasi approfondimento psicologico: persino una figura così forte e controversa come Rino Zena (padre violento e alcolizzato, eppure attaccatissimo al figlio) viene affrontata in modo distaccato, distante, quasi superficiale; per tacere poi di tutti gli altri, o caricaturali fino al grottesco (Quattro Formaggi) o sciatti, impalpabili, senza spessore (la bambina, l'assistente sociale). Non sono aiutati in questo, va ammesso, dalla scelta degli attori: da Elio Germano (totalmente fuori ruolo) ad Alvaro Caleca (abbastanza anonimo), da Angelica Leo (dimostra almeno 10 anni in più del suo personaggio!) a De Luigi (qua faccione barbuto ed urlante, anche lui fuori ruolo). Filippo Timi lo salva la buona presenza scenica e il physique du role necessario per interpretare Rino Zena, ma lo tradisce in parte la teatralità un po' retorica nel recitare.
Il risultato è quindi una sequela di avvenimenti (specie nella parte finale) che scivolano via senza nessun sussulto, e non basta poi un finale che pompa sull'emozionalità e i sentimenti (grazie ad una lacrima inaspettata e alla voce di Anthony nella cover di "Knockin' on heaven's door"): aspettiamoci davvero che il prossimo film sia fatto "Come Dio comanda".
15/12/2008