Il film di due debuttanti, Glenn Ficarra e John Requa, giunti alla prima regia dopo una breve ma stimata carriera di sceneggiatori. Ma soprattutto, il film di un attore. Tra ruolacci in lavori dalla comicità scadente e incursioni nel cinema d'autore più ambizioso ma al contempo popolare, Jim Carrey è riuscito a capitalizzare il suo talento e a trovare la sua dimensione. Il primo si è ormai rivelato enorme. La seconda sembra quella del personaggio genialoide, stralunato, folle, in contesti visionari, onirici, surreali. Film come "The Truman Show", "Man On The Moon", o "Se mi lasci di cancello" sembrano col senno di poi quasi inconcepibili senza la presenza del loro interprete principale. Che li modella sulla sua
verve, lasciando la propria inconfondibile impronta. Ma il vertice del trasformismo dell'attore canadese, quello - per intenderci - che affonda le radici nei "The Mask", è raggiunto proprio nella pellicola firmata dai due esordienti, questo "Colpo di fulmine - Il mago della truffa" in cui Carrey impersona un truffatore dal talento naturale con una spontaneità paragonabile a quella del suo personaggio, accompagnata da una maturità espressiva davvero rara.
Steven Russel era sì stato abbandonato senza apparente motivo da sua madre; tuttavia il trauma sembrava agevolmente superato, dato che il nostro trascorreva un esistenza ordinaria: agente di polizia, marito, padre, insomma un perfetto piccolo borghese. E' un incidente stradale che gli cambia la vita, lo convince a confessare la propria omosessualità (aspetto su cui i media italiani insisteranno parecchio, ma poco influente nell'economia del film) di cui è sempre stato consapevole, gli fa abbandonare la famiglia alla ricerca di un uomo a cui accompagnarsi. Ma soprattutto, gli fa cambiare pelle come un camaleonte per intraprendere una serie di geniali raggiri ai danni del prossimo, che gli valgono ricchezza e prestigio, piuttosto che condanne e soggiorni in carcere, dove incontra l'uomo della sua vita (un Ewan McGregor perfetta spalla). Da questo momento non vorrà più lasciarlo, malgrado le fortune alterne delle sue imprese e malgrado la crisi d'identità causata da una vita vissuta nella menzogna (tema purtroppo non adeguatamente sviscerato). Il cui ultimo atto (per ora: il vero Steven Russel è ancora vivo; ebbene sì: è una storia vera) è una truffa pazzesca, che mette a dura prova la credulità dello spettatore.
Una commedia travolgente, che diverte e appassiona, solo parzialmente ridimensionata da una regia che schiva qualsiasi rischio, imprimendo un ritmo ossessionato dalla paura di annoiare lo spettatore anche un solo istante, ed evitando qualsiasi soluzione personale. Prediligendo invece la confezione da
blockbuster, con tanto di colonna musicale onnipresente e macchina da presa in moto perpetuo senza meta. Produttore esecutivo è Luc Besson: gli autori sostengono di aver scelto un europeo perché gli americani si rifiutavano di accettare una storia d'amore omosessuale. Roba che neanche i media italiani al loro peggio.
03/04/2010