Quando era uscito il suo primo lungometraggio, "I racconti di Terramare", i pareri sul futuro di Goro Miyazaki, figlio di cotanto padre, non erano stati molto incoraggianti. Tutti a dire che il giovane erede designato dello studio Ghibli fosse troppo oppresso dal tocco paterno nel fondere il magico realismo e il naturalismo fantastico, una ricetta che il genio di papà Hayao aveva portato nei suoi capolavori a livelli pressoché ineguagliabili. La perizia tecnica nel miglioramento dei dettagli animati c'era e si poneva in continuità con il progetto iniziale di Miyazaki senior e del suo collega e mentore Isao Takahata, ma quello che a molti era sembrato è che Goro non avesse la necessaria arguzia per unire dettaglio e narrazione, storia e metafora, soggetto e anima.
In realtà si trattava a ben vedere di una ricerca del proprio equilibrio che, con la sua seconda opera, trova in effetti un punto d'arrivo. Con "La collina dei papaveri", se lo stile nel disegno resta quello proprio del marchio di fabbrica garantito dal character designer Katsuya Kondo, le scelte sul piano narrativo di Goro Miyazaki, aiutato in sede di sceneggiatura proprio dal genitore, virano verso altri lidi. Non c'è fantasy, infatti, in questo singolare e divertente melodramma adolescenziale ambientato nella Yokohama del 1963, a un anno dalle Olimpiadi di Tokyo e a cavallo di due epoche per il Giappone: da una parte la ricostruzione dalle macerie della guerra mondiale, dall'altra una società pulsante che non vede l'ora di trasformare la sua proverbiale operosità in irresistibile progresso economico e tecnologico.
E così Miyazaki junior decide di lasciare da parte ogni velleità filosofica e procede alla costruzione di una semplice e solida storia di formazione sentimentale, che potrebbe già avere i connotati del cartoon classico. Dietro l'amore, tenero e impossibile, di Umi e Shun c'è un racconto universale che guarda non tanto all'immaginario infantile tipico di casa Miyazaki, quanto al Giappone reale. Lei è lo sguardo verso la tradizione, la nostalgia per le consuetudini passate che non vogliono e non devono cedere il passo al nuovo volto industriale del Paese. Lui è il frenetico e impaziente occhio rivolto al futuro, la curiosità di gettare uno sguardo, appunto, verso una nuova era ricca di possibilità e di opportunità.
In mezzo, la casa dello studente Quartier Latin, simbolo dell'una e dell'altra anima di una nuova generazione di studenti caparbi e coraggiosi, scrigno che custodisce il Giappone del passato e orgoglio di chi osserva con fiducia e senza pregiudizi l'arrivo di un nuovo tempo. Attorno a questo spazio chiuso l'animazione Ghibli conferma nuovamente la sua impressionante cura per il dettaglio: dall'arredamento ai piccoli oggetti, la scena "principe" dell'innamoramento dei due protagonisti è arricchita di mille e più particolari.
Nel suo allontanarsi dallo stile paterno e avvicinandosi invece alla più semplice illustrazione propria dell'impronta dell'altro socio fondatore dello Studio, Takahata, Goro dà prova, al tempo stesso di umiltà e classe: perché abbandona un filone di lungometraggi ormai consolidato e concentra i suoi sforzi, forse abbassando il tiro, in qualcosa più nelle sue corde. Rasentando forse in pochi frammenti l'effetto-banalità, il più celebre figlio d'arte dell'animazione giapponese trova nel ritratto di questo piccolo scorcio di civiltà nipponica l'habitat ideale per il suo spirito incorreggibilmente romantico.
regia:
Goro Miyazaki
titolo originale:
Kokuriko-zaka kara
distribuzione:
Lucky Red
durata:
91'
produzione:
Studio Ghibli
sceneggiatura:
Hayao Miyazaki, Keiko Niwa
musiche:
Satoshi Takebe