“Vedo il regista come un pescatore, sceglie il posto, prepara tutto ciò che serve,
ma poi deve aspettare che le cose accadano e che non dipendano solo da lui”
Cristi Puiu (1)
Alexandre Nanau è nato in Romania nel 1979 e si è trasferito con la sua famiglia in Germania nel 1990. Il suo primo film, “Peter Zadek inszeniert Peer Gynt” (2006), è stato girato in terra tedesca al termine dei suoi studi presso l’istituto DFFB (Deutsche Film- und Fernsehakademie Berlin, cioè l’Accademia tedesca del cinema e della televisione di Berlino). Tornato in patria, ha realizzato due lungometraggi incentrati sull’analisi documentaristica delle criticità sociali rumene, di cui “Collective” (2019) costituisce l’ultimo elemento di un’ideale trilogia. “The World According to Ion B.” (2009) racconta la vita di Ion Bîrlădeanu, un artista specializzato in collage pop art che iniziò la propria produzione mentre, alcolizzato e senza fissa dimora, trovò il modo di guadagnare qualche soldo ricilando rifiuti per conto dei residenti di un condominio. “Toto and His Sisters” (2014) narra le vicende di Totonel (dieci anni), Andreea (quattordici) e Ana (diciassette) che aspettano il ritorno della madre dalla prigione, arrabattandosi come possono per sopravvivere, contando unicamente sulle loro forze. Questi tre lungometraggi si focalizzano sui fallimenti del sistema sociale rumeno, prendendo in considerazione la vita degli ultimi, dei membri più fragili della collettività (i senzatetto, gli orfani e coloro che non possono permettersi cure sanitarie all’estero) al fine di mostrare e denunciare le conseguenze della corruzione e della povertà dilagante. Nanau fa quindi parte della cosiddetta romanian new wave, filone critico consolidatosi negli anni Duemila in seguito ai numerosi riconoscimenti ottenuti al Festival di Cannes: “Morte del signor Lazarescu” (premio di miglior film nella sezione “Un certain regard” del 2005) di Cristi Puiu, “A est di Bucarest” (premio Caméra d’or del 2006) di Corneliu Porumboiu e “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni” (palma d’oro del 2007) di Cristian Mungiu. Nel decennio successivo questa etichetta è stata rimarcata dalle vittorie alla Berlinale: “Se voglio fischiare, fischio” (Orso d’argento nel 2020) di Florin Șerban, “Il caso Kerens” (Orso d’oro nel 2013) di Călin Peter Netzer, “Aferim!” (Orso d’argento nel 2015) di Radu Jude e “Ognuno ha il diritto di amare – Touch Me Not” (Orso d’oro nel 2018) di Adine Pintilie.
Pur trattandosi di una comoda etichetta creata dalla critica al fine di analizzare questo corpus di film nelle loro ricorrenze stilistiche a discapito delle differenze autoriali, è innegabile il fatto che la romenian new wave presenti alcuni elementi comuni, condivisi anche dalla produzione di Nanau. In particolare, vi sono alcune costanti tematiche come lo sguardo rivolto a «istituzioni sociali come la famiglia e il matrimonio, la scuola e la religione, la polizia e i tribunali, gli ospedali e gli orfanotrofi [che] vengono spesso osservati come dispositivi disciplinari e potenzialmente corrotti» (2). Inoltre, i personaggi dei lungometraggi citati si pongono in relazione alla corruzione del sistema rumeno, vero cardine di questa produzione filmica, perpetuandola attivamente o tentando di combatterla. In tal modo, questi film configurano un controcampo osservazionale sulla società nazionale, di cui mostra i lati peggiori ma, allo stesso tempo, prefigurano una possibile via d’uscita favorendo una forte e coraggiosa riflessione sulle storture del presente.
“Collective” è un documentario che struttura la propria osservazione del reale tramite una forma narrativa: le riprese fatte a persone ed eventi reali sono configurate in un racconto riguardante la storia della progressiva scoperta della malasanità rumena successiva all’incendio presso la discoteca “Colectiv” di Bucarest. Il film è diviso in tre atti: lo sconvolgimento dell’equilibrio iniziale corrisponde all’incendio e alle conseguenti vittime, che conducono allo svelamento della corruzione imperante nel settore ospedaliero, mentre le indagini giornalistiche coincidono con lo svolgimento e il finale è costituito dal tentativo del nuovo ministro di risolvere le problematiche sanitarie. Ogni atto viene configurato in modo differente e, inoltre, si caratterizza per un protagonista diverso a cui è affidata la progressione narrativa: la parte iniziale si contraddistingue per la presenza di materiali più strettamente documentaristici, come i found footage relativi all’incendio avvenuto nel club “Colectiv”, oltre alle riprese delle vittime e dei loro parenti, i cui corpi martoriati e il cui dolore testimoniano la profonda ingiustizia e la tragicità di quanto accaduto. Nanau, in particolare, si sofferma in diversi momenti sulla carriera artistica di Tedy Ursuleanu, una giovane donna sopravvissuta all’incendio seppur con gravi ustioni e menomazioni, destinata a diventare un’importante performer visuale. I restanti due atti sono realizzati attingendo maggiormente a generi narrativi finzionali: la parte centrale riecheggia il genere thriller del giornalismo d’inchiesta dato che mostra il coraggioso reporter Cătălin Tolontan districarsi nei sordidi intrighi di potere al fine di portare la verità a galla, animato dall’unica volontà di contribuire al miglioramento della società tramite la denuncia delle sue storture. Il finale è improntato alla tragedia, poichè i tentativi del ministro Vlad Voiculescu di riportare legalità e trasparenza nel sistema sanitario si scontrano con poteri più grandi di lui e con l’esito delle elezioni politiche, rese statiche dall’assenteismo dei giovani. Tuttavia, di questi generi narrativi viene mantenuto solo un eco flebile, dato che il regista è attento a evitare ogni accenno retorico ed enfatico, realizzando un lungometraggio che non coincide ne' con l’esaltazione del coraggio della stampa e della sua importanza per la vita democratica, ne' con l’epica storia di un piccolo Davide, il ministro idealista, che tenta di battere Golia, il sistema corrotto. Nanau mantiene toni compassati e discreti, configurando una ricostruzione degli eventi scevri da enfasi: confeziona un racconto discreto nei toni ma esauriente nei contenuti e nelle implicazioni contenutistiche, focalizzando l’attenzione sui meccanismi osceni di un potere che vive per mantenere se stesso invece che porsi al servizio della propria comunità.
Il film è composto da riprese colte in itinere, nell’hic et nunc della vicenda realmente esperita dal regista, dalla troupe e dalle persone riprese, che poi è stata montata seguendo una linea narrativa forte. Nanau specifica il fatto che ha vissuto a stretto contatto con i personaggi del film per circa un anno (3), tuttavia sorge di frequente il dubbio che alcune sequenze siano state ricostruite d’accordo con i personaggi. In particolare, questo sospetto emerge in alcune scene particolarmente importanti per l’economia narrativa del film, come quella in cui Cătălin Tolontan viene filmato mentre riceve una telefonata da parte dei servizi segreti che gli confermano i suoi sospetti relativi all’iperdiluizione dei prodotti antibatterici usati nelle strutture ospedaliere. Inoltre, è la stessa regia adottata da Nanau che alimenta questo dubbio: vi è una prevalenza di inquadrature fisse e statiche, soprattutto in interni a riprendere le discussioni tra i giornalisti, oltre che tra il ministro e il suo staff. Per questo c’è un’abbondanza di campi totali, riservati soprattutto alle riunioni intorno ad un tavolo, oltre che di primi piani dei personaggi mentre parlano di fronte a una platea durante le conferenze stampa o nel corso delle riunioni, intervallate e rese più dinamiche dai dettagli delle mani che illustrano fogli e dati stampati. Nanau privilegia dunque un’estetica strettamente osservazionale: la telecamera viene concepita come una mosca sulla parete che spia i personaggi mentre agiscono come se questa non esistesse. Da questo concetto deriva la rarità dei movimenti di macchina, l’abbondanza di inquadrature che ritraggono le persone di spalle mentre fanno qualcosa (al computer, mentre guidano, mentre osservano le fotografie che hanno appena scattato sul display della fotocamera) e, infine, l’assenza di ogni interazione con le persone riprese a cui, infatti, non sfugge mai uno sguardo in macchina o un cenno al regista, nemmeno nelle scene maggiormente emozionanti per gli stessi personaggi. La censura della relazione, anche minima, tra il soggetto filmato e colui che filma, oltre al fatto che il regista si trovi in presenza dei suoi personaggi proprio quando qualcosa di importante accade loro (si veda l’esempio precedente della telefonata) è l’aspetto più problematico del documentario, motivo per il quale spesso si ha la sensazione di assistere a un re-enactment, cioè una recita da parte dei personaggi reali di ciò che era accaduto loro precedentemente.
Si tratta in ogni caso di un film militante e dal forte impegno civile, avente l’obiettivo principale di influenzare lo spettatore affinché prenda coscienza di quanto viene denunciato e reagisca di conseguenza. Le parti che compongono il documentario collaborano a questo scopo: la sezione narrativa, infatti, individua le storture del sistema sanitario e politico della nazione rumena, per poi identificare una possibile soluzione in grado di fornire una speranza e una via percorribile in futuro. Invece, le scene che mostrano i corpi ustionati delle vittime e i familiari di queste ultime mentre raccontano il proprio calvario ha l’obiettivo di mostrare la formazione di una comunità, quella dei superstiti e dei loro parenti, punta di diamante di una società civile che reagisce al malgoverno, alla corruzione dilagante e alle inefficienze oscene in cui attualmente versa la Romania. Inoltre, queste riprese che indugiano sui corpi martoriati e sui visi distrutti dal dolore hanno lo scopo di condurre la sensibilità dello spettatore verso uno spazio non pienamente visibile e mostrabile: evocano l’orrore della tragedia piuttosto che cercare di raccontarla, nella consapevolezza dell’impossibilità di racchiudere in un immagine la vastità del reale che un evento simile comporta. Dunque, il valore di queste scene non risiede tanto nel tentativo, a ben vedere impossibile, di testimoniare pienamente ciò che è accaduto, quanto nel sollecitarne il ricordo e la parte emotiva che questo comporta, così da porsi come monito costante affinché una tragedia simile non possa più ripetersi.
(1) N. Falcinella, Noi registi dovremmo capire il mondo, in “il manifesto”, 6 giugno 2017.
(2) P. Masciullo, Europa: identità in transito, in A. Cervini (a cura di), Il cinema del nuovo millennio, Carocci, Roma, 2020, p. 133.
(3) V. Rizov, Incendiary: Director Alexander Nanau on His Explosive Investigative Documentary, Collective, in “filmakermagazine”, 17 marzo 2020.
cast:
Cătălin Tolontan, Mirela Neag, Camelia Roiu, Tedy Ursulean
regia:
Alexandre Nanau
titolo originale:
Colectiv
distribuzione:
I Wonder Pictures
durata:
109'
produzione:
Alexander Nanau Productions, Samsa Film, HBO Europe
sceneggiatura:
Antoaneta Opris, Alexander Nanau
fotografia:
Alexandre Nanau
montaggio:
Dana Bunescu, George Cragg, Alexander Nanau
musiche:
Kyan Bayani
L'incendio verificatosi nella discoteca "Colectiv" presso Bucarest porta alcuni giornalisti a indagare sul sistema sanitario rumeno, scoprendone la profonda inefficienza causata dalla corruzione dilagante e radicata. La nomina a ministro della salute di un giovane idealista conduce a un barlume di speranza.