Se le ultime settimane dell'anno appena terminato si sono concluse con un film, qual è "Paterson" di Jarmusch, capace di mostrare come si possa fare grande poesia attraverso un racconto ordinario e lineare, privo di grandi snodi drammatici o di eccentrici protagonisti, il nuovo anno si apre in maniera diametralmente opposta, con una storia farcita di grandi temi universali (il tempo, l'amore, la morte, etc.), che ammicca al metateatro tramite riflessioni sul dove finisca il recitare e dove inizi la vita reale, ma che finisce per impasticciare i propri ingredienti in un minestrone stomachevole che odora di cliché.
Poco può fare il cast d'eccezione riunito per l'occasione (tra gli altri: Edward Norton, Kate Winslet e un Will Smith che nonostante divida sempre più il pubblico, continua a funzionare nei panni della mascherina tragica esasperata, piagnucolona e depressa); poco può fare anche la regia di David Frankel ("Il diavolo veste Prada", "Io & Marley") costretta a destreggiarsi come meglio può tra i problemi di una sceneggiatura incapace di gestire il proprio materiale e la propria tracotanza.
L'idea di partenza non sembrerebbe neppure malvagia: Howard, dirigente pubblicitario di successo, cade in depressione dopo la morte prematura della figlia e come sfogo terapeutico inizia a scrivere delle lettere intestate ad Amore, Morte e Tempo. I suoi colleghi decidono così di ingaggiare dei teatranti a cui far interpretare esattamente queste tre entità per ingannare Howard e offrirgli una risposta e una speranza.
La narrazione si riempie però presto la bocca di bocconi che non riesce poi a digerire, di temi che non riesce a sviluppare secondo un proprio pensiero originale, crollando dunque in fretta in un nulla di fatto, in un dedalo di frasi precostruite simili a quelle della peggiore letteratura romantica da teen-agers ("L'amore è la ragione di tutte le cose"), di situazioni già viste, di personaggi fin troppo archetipici per risultare apprezzabili.
Non sono tanto gli errori (nemmeno troppi a ben vedere), ma la glicemica scontatezza che fa da base alla scrittura a infastidire lo spettatore, anche quando questa è travestita da trovate di successo: esempio di ciò è la repentina inversione dei ruoli che viene giocata tra i soccorritori e i soccorsi, nel momento in cui i colleghi di Howard si rivelano essi stessi bisognosi di aiuto: essi stessi si scopriranno in rapporti conflittuali con amore, morte e tempo.
La situazione già precaria del film si arricchisce poi di un colpo di scena finale oltremodo inutile, di una tale inconcludenza ai fini della trama da suonare estremamente inopportuno; talmente superfluo da svelare subito il suo probabile viscido intento: quello di catturare l'attenzione assopita dello spettatore tramite un'ultima carta a sorpresa e concentrare la sua attenzione più sullo stupore per quell'ultimo plot-twist che sulla banalità del resto della storia.
Peccato soltanto che l'angolo buio della narrazione che esso va a illuminare non aggiunga nulla alla struttura generale dell'opera, fornendo dunque a un mosaico già completo un ulteriore eccessivo tassello.
E infine la bellezza collaterale che da il titolo all'opera, ovvero l'intelaiatura che connette in un unico organismo tutto l'universo: un tema che si suppone essenziale e che viene invece lasciato tra le righe, biascicato in sentenze dai toni oracolari, permeato di uno strambo misticismo.
Difficile salvare un progetto simile; difficile non accorgersi della collaterale bruttezza di chi voglia trattare i massimi sistemi, senza aver nulla da dire.
cast:
Will Smith, Edward Norton, Kate Winslet, Michael Pena, Keira Knightley, Helen Mirren, Jacob Latimore, Naomie Harris, Ann Dowd
regia:
David Frankel
distribuzione:
Warner Bros.
durata:
96'
produzione:
PalmStar Media, Likely Story, Anonymous Content, Overbook Entertainment, Village Roadshow Pictures,
sceneggiatura:
Allan Loeb
fotografia:
Maryse Alberti
costumi:
Leah Katznelson
musiche:
Mychael Danna, Theodore Shapiro