Il Cocoricò è un museo di arte in atto, un po' come il teatro nel Settecento.
Il teatro nel Settecento era il posto dove la gente faceva più casino in assoluto.
Individuo non meglio identificato, "Cocoricò Tapes"
"Cocoricò Tapes" comincia con la caduta del muro di Berlino, lo stesso anno in cui apre il Cocoricò. È il tempo in cui cadono i confini, le barriere, i tabù e le ultime stelle dell'edonismo sfrenato degli anni '80, che divampano in fiammate furiose prima di ridursi in cenere attraversando l'atmosfera cupa e asettica della contemporaneità.
Tavella recupera una tagliatella di tapes, perlopiù da vecchi VHS, la mischia con qualche intervista e la serve condita con l'ingrediente più apprezzato del momento: la nostalgia. L'effetto è immersivo, un viaggio a ritroso tra i luoghi, i suoni e le tribù della notte romagnola quando a Riccione venivano da tutta Europa per omaggiare "la Mecca della dance", una delle venti discoteche migliori al mondo, la più famosa d'Europa, per toccare con mano la pietra nera di una libertà che sembrava possibile soltanto lì dentro, nel buio sgargiante delle sue piste, sotto le vibrazioni luminose della sua piramide di cristallo: "Lì dentro riuscivi a essere te stesso. E forse dopo una, due, venti volte che eri te stesso lì dentro, riuscivi a essere te stesso anche fuori".
Un locale avvenistico. La direzione artistica di Loris Riccardi – intervistato nel documentario – tesa a moltiplicare i non-luoghi, dalle piste ai bagni, trasformati in altrettanti privé, musei della trasgressione, santuari del desiderio liberato. E Battiato, Fellini, Ghezzi tra gli estimatori, in consolle Guetta, Coccoluto, Eno, e i Daft Punk cacciati a furor di popolo, storie e altre storie. Con la famosa piramide che fa il verso al Louvre l'aspetto era proprio quello di un tempio, luogo in cui l'identità coincide con l'oblio e la danza si fa preghiera, un inno tantrico, quasi religioso, alla libertà e al piacere, cardini ideologici della liberazione sessantottina gradualmente asserviti al neoliberismo, quelli che dovevano essere gli strumenti della liberazione e sono diventati quelli dell'asservimento. Il sudore evaporava, condensava sulle pareti della piramide e pioveva sul pubblico in un delirio chiassoso e promiscuo.
In "Cocoricò Tapes" vediamo tutto questo, la nudità, le droghe, la discoteca come laboratorio utopico, casa di una comunità LGBTQ ancora poco rappresentata, illusione che il delirio carnevalesco potesse soppiantare la realtà mediante uno scatenato rito collettivo. Quello che non vediamo è la perizia artigiana di una mano che sappia cucire il materiale, ricamare trame che leghino i tapes all'oggi, imbastirlo di didascalie e riflessioni e racconti. E in questo senso "Cocoricò Tapes" non va molto più in là del titolo, alcuni vecchi tapes sul Cocoricò con il fascino della grana grossa e dei viraggi fluo, e questa pia illusione ripetuta all'infinito – che si cercava sé stessi, che si architettava una società nuova. Invece si celebrava il culto della dissipazione durante un'era in dissolvimento, quella in cui la musica dance, la notte, la libertà e la trasgressione brillavano come dèi antichi sopra la piramide nuova.
cast:
Loris Riccardi, Renzo Palmieri, Principe Maurice, Silvia Minguzzi, Giuseppe Moratti
regia:
Francesco Tavella
titolo originale:
Cocoricò Tapes
durata:
67'
produzione:
La Furia Film, Sunset Produzioni
sceneggiatura:
Matteo Lolletti, Francesco Tavella
fotografia:
Luca Nervegna
montaggio:
Luca Berardi
musiche:
Matteo Valliccelli