C'è una sperduta cittadina della provincia Usa. C'è un virus killer fuori controllo. Ci sono lo sceriffo e la mogliettina incinta che tentano di salvare la pelle. C'è tutto quello che ci si aspetterebbe in un horror movie a sfondo apocalittico, tutte cose che abbiamo già visto decine di volte, prendiamo, tanto per restare in tempi recenti, il dittico "28 giorni-settimane Dopo", il mistico "
E venne il giorno" di Shyamalan, il disperato "
The Mist" firmato Darabont, e via dicendo. Per di più, questo "La città verrà distrutta all'alba" è un remake. Di un classico "minore" di Romero, certo (datato 1973) ma pur sempre un classico, che ha contribuito a sistematizzare le regole di un sottogenere (l'horror apocalittico e militante, appunto) da allora continuamente imitato e replicato.
Eppure, questo rifacimento di "The Crazies" (sarà che ormai siamo abituati a immondi sequel e fondi di magazzino), per quanto risaputo, funziona e fa il suo sporco dovere. Bestemmia: forse è pure, cinematograficamente parlando, più riuscito dell'originale di Romero. Sì. Perché se nel "Crazies" del 1973 la tensione spesso si stemperava in momenti sanguinolenti e un po' fini a sé, il remake di Breck Eisner (nulla più che un onesto mestierante, ma tanto basta) regala scossoni a raffica, e una volta innescato il meccanismo della tensione, questa non scema fino alla conclusione. Eisner relega il
grand guignol ad un paio di momenti (la lotta nella casa dei Dutton, con la mano infilzata dal coltello), per il resto gioca ingegnosamente con il non visto, con l'oscurità, con gli effetti sonori (ne è un esempio perfetto l'indimenticabile sequenza dell'autolavaggio, con i protagonisti intrappolati in macchina, incapaci di vedere ciò che avviene all'esterno, pronti a scattare e urlare per ogni piccolo movimento, immaginario o reale, che avvertono intorno a loro). Forse privo del pathos, dello spessore e delle sorprese delle pellicole citate poco sopra, questa nuova versione de "La città verrà distrutta all'alba" è però altrettanto lucida e "politica", almeno quanto l'originale di Romero.
"The Crazies" 2010 differisce dalla precedente versione per un punto fondamentale. Se in Romero la vicenda, ad un certo punto, verteva sui militari, sul loro piano per debellare l'infezione mortale, le rivolte al loro interno, nel
remake l'unico punto di vista che viene dato al pubblico è quello dello sceriffo Dutton e della moglie Judy. In questo modo lo spettatore, come i protagonisti, è ignaro di ciò che sta avvenendo, spaesato e spaventato. Il nemico non ha un volto definito: non ce l'hanno i violenti militari, nascosti costantemente sotto inquietanti maschere ad ossigeno, non ce l'hanno nemmeno gli sprovveduti appestati, difficilmente distinguibili da quelli che non hanno contratto il morbo killer. E così, se il film del 1973 si rivelava un'immediata ed esplicita metafora della sfiducia collettiva nei confronti di un paese (folle) e un governo (in guerra), la pellicola di Eisner è più sfumata e ambigua, intelligentemente aggiornata ai nostri tempi, paranoici e senza "nemici" certi. E a conferma di ciò basterebbe citare il finale (solo apparentemente "lieto"), cattivo e nero in pieno stile Romero, che pare negare qualsiasi possibilità di speranza o salvezza.
Girassero più remake così...