Dalla vecchia riduzione con Albert Finney al film con i Muppets, passando per variazioni sul tema come "S.O.S. Fantasmi" con Bill Murray e il recente (orrido) "La rivincita delle ex", il classico "Canto di Natale" di Charles Dickens pare contare innumerevoli trasposizioni sul grande (e piccolo) schermo. Cos'avrà di nuovo questo "A Christmas Carol" targato Disney e diretto da Robert Zemeckis? La storia è quella che conosciamo bene: l'avido e misantropo Ebenezer Scrooge, la vigilia di Natale, viene visitato da tre spaventosi fantasmi, quello dei Natali passati, dei presenti e dei futuri, e miracolosamente sceglie di cambiare vita, aprirsi al mondo ed essere generoso, diventando quasi un secondo padre per il piccolo e malato Timmy.
Che c'è in più dicevamo? Bé innanzitutto il motion capture, tecnica a cui ormai Zemeckis pare affidare le sorti della settima arte. Come per "Polar Express" e "Beowulf" il regista di "Ritorno al futuro" ricrea i suoi attori in digitale, estrapolandone movimenti ed espressioni del viso attraverso tecnologie avveniristiche. La qualità dell'animazione e la veridicità dei personaggi è impressionante e migliora di film in film, ma il risultato solleva ambiguità e fa discutere. Perché non utilizzare attori in carne ed ossa? Perché non creare tutto in animazione? Qual è l'intento di Zemeckis? Da un lato c'è il tentativo di contaminare realtà e illusione come ai tempi di "Chi ha incastrato Roger Rabbit?", benché con molta più consapevolezza, dall'altro quello di indicare una via per il futuro: tramite i suoi film e il motion capture Zemeckis raccoglie l'eredità "umana" e interpretativa dei suoi attori, che manipola a piacimento in un cortocircuito sensoriale in cui il regista si avvicina sempre più ad una figura onnipotente (tramite i movimenti di un solo attore sono ricreati addirittura decine di personaggi, è possibile far invecchiare o ringiovanire a piacimento chiunque, riutilizzare, preservata e immutata, la performance di un attore scomparso nel passato). In più, poi, c'è Jim Carrey, una vera forza della natura, la cui maschera è capace (letteralmente) di bucare lo schermo, il make up, e gli effetti visivi. Che ci troviamo ne "Il Grinch", in "The Mask" o in "Lemony Snicket's", per quanto camuffato e irriconoscibile, Carrey riesce a far affiorare l'energia della sua prova. E così è pure in questa versione di "A Christmas Carol", dove l'attore canadese si sdoppia in una miriade di personaggi (interpreta Scrooge in tutte le fasi della sua vita, ma anche i tre spettri del Natale), conferendo alla sua controparte digitale un calore e un realismo notevoli. La terza novità del film di Zemeckis rispetto alle precedenti riduzioni è l'utilizzo del 3D, che aggiunge alla visione in sala un enorme divertimento e coinvolgimento.
Sinora ci siamo soffermati solo su alcuni degli aspetti tecnici del nuovo "Canto di Natale", dandone per scontata la riuscita complessiva. "A Christmas Carol" soffre invece varie pecche a livello di scrittura: Zemeckis sceglie di mantenere una fedeltà rigorosa al testo di Dickens, e, di fatto, contamina il suo film con lugubri suggestioni horror e momenti cupi (ma ciò non stupisce, visto che ne erano pieni pure "Polar Express", "Monster House" e il sottovalutato "Beowulf", così come, sotterraneamente, tutta la filmografia del regista) e malinconici, ben lontani dal classico spirito Disney (e che potrebbero scontentare i più piccoli). Ma a parte questo, è proprio l'eccessivo rigore a Dickens che suscita una certa stanchezza narrativa, una sensazione di prevedibilità che nessuna delle innovazioni tecnologiche del regista riesce ad allontanare.
La meccanicità del racconto (la ripetitiva comparsa dei fantasmi, la redenzione conclusiva) è scossa solo da un paio di sequenze adrenaliniche che sfruttano al meglio la potenzialità del tridimensionale (il volo di Scrooge sopra la città, la sincopata fuga dal cavaliere infernale), ma Zemeckis non pare molto interessato ad aggiornare o reinterpretare Dickens, limitandosi ad un piano (oserei dire "classico") adattamento, che all'inizio meraviglia, ma alla lunga rischia lo sbadiglio.
03/12/2009