Un fenomeno del genere, riprodotto così in massa, forse non si era mai visto. Una tale insistenza sullo stesso "tipo di cinema" da parte dei nostri distributori, ovviamente per cercare di trarre il massimo profitto da un filone apparentemente amatissimo, risulta nuovo, per lo meno nella sua dirompente esagerazione. Stiamo parlando della commedia francese, termine quanto mai vago, ma anche quanto mai adatto per fotografare l'interminabile serie di titoli transalpini arrivati nella stagione 2011/2012 nei cinema italiani.
Spinti dalla rivoluzionaria operazione orchestrata da Michel Hazanavicius con il suo "The Artist", sono arrivate nel corso dei mesi pellicole di ogni genere che, come comune denominatore avevano l'appartenenza a un cinema che potremo chiamare brillante. Alcuni episodi meritano di essere ricordati, come ad esempio il tenero "Emotivi anonimi", altri ci fanno rimpiangere anche i nostri cinepanettoni, come il pubblicizzatissimo "Gli infedeli".
Poi si arriva alla fine dell'anno e, con la calura estiva, si cerca di raschiare il proverbiale fondo del barile. Il pubblico è stanco, provato, forse se il titolo ha sonorità francesi e, in più, promette grasse risate qualche biglietto in più potrà anche essere staccato. È probabilmente con questo spirito che viene pensato "Chef", anonimo film ambientato nella Nouvelle Cousine francese e tutto giocato su ampiamente inflazionati luoghi comuni del genere. Partendo da una pregevole partenza, ossia ancora una volta lo sguardo malinconico su questo nostro tempo arido che spegne ogni passione e costringe a fare i conti solo e soltanto con le più stringenti scadenze e responsabilità, il lavoro di Daniel Cohen si perde poi in una sequenza di momenti stanchi, in cui la storia di un monumento della cucina nazionale, interpretato da un attonito Jean Reno, incrocia il suo destino con il solito ragazzo prodigio, cresciuto nel suo mito e dal carattere difficile. Confrontarsi e scontrarsi sono due azioni che nella commedia degli equivoci vanno sempre a braccetto.
Ma qui, in una colata infinita di zucchero, lo spettatore viene costretto a passare in rassegna, attraverso numerosi sketch pressoché privi di qualsiasi mordente comico, tutti gli stereotipi del caso: dalla figlia trascurata del cuoco adulto alla moglie insoddisfatta di quello giovane, dalla tradizione messa in un angolo dai nuovi esperimenti culinari rivoluzionari ma aridi alla clientela che merita di essere maltrattata perché ormai vuole solo patatine fritte. Da riconquistare, o conservare, c'è la reputazione del grande chef, impresa per cui i due si alleeranno.
Una commedia leggera e inutile che, però, colpisce per un altro motivo: incuriosisce, infatti, la scelta di campo di bandire dalla sceneggiatura qualsiasi espressione linguistica vagamente colorita, quasi come ad evitare anche la sola ombra dell'accusa di volgarità. Una decisione che, se in altri frangenti avrebbe potuto anche essere considerata coraggiosa, in tale contesto risulta per lo più ipocrita: meglio qualche parolaccia liberatoria, piuttosto che la scrittura di certe scene che si pretenderebbero comiche come l'infiltrazione dei due protagonisti nel ristorante avversario sotto le mentite spoglie di due giapponesi. Trovate come queste fanno davvero gridare al sacrilegio. Alta cucina parigina? Meglio un panino con la mortadella, a questo punto.
cast:
Jean Reno, Julien Boisselier, Raphaëlle Agogué, Salomé Stévenin, Michaël Youn
regia:
Daniel Cohen
titolo originale:
Comme un chef
durata:
84'
produzione:
Gaumont
sceneggiatura:
Daniel Cohen
fotografia:
Robert Fraisse
scenografie:
Hugues Tissandier
montaggio:
Géraldine Rétif
costumi:
Emmanuelle Youchnowski
musiche:
Nicola Piovani