Di Marco Risi abbiamo imparato a conoscere la duttilità, la sua capacità di adattarsi con intelligenza alla volubilità di un mestiere soggetto a variabili che sono anche il risultato di fattori imponderabili, spesso adiacenti all'opera cinematografica. Un eclettismo tradotto da una carriera che in ogni occasione si è applicata con pari intensità e senza distinzioni di sorta, per abbracciare generi e filoni: dalla commedia leggera e giovanilistica con Jerry Calà ("Vado a vivere da solo", 1982 e "Un ragazzo ed una ragazza", 1984) all'impegno sociale e civile di lungometraggi come "Mery per sempre" (1989) ed il "Il muro di gomma" (1991) sulla strage di Ustica, senza dimenticare le incursioni nel
road movie (Tre mogli, 2001) nel
biopic sportivo, ("Maradona - la mano de Dios", 2009) ed ancora nel film di denuncia, con "Fortapasc" (2009) dedicato alla figura di Giancarlo Siani, il giornalista ucciso dalla camorra, con il quale Risi ha recuperato una credibilità che era stata messa in discussione dalle incertezze dei lavori precedenti. Questo per dire come il nostro sia stato capace di smarcarsi dall'ossessione dell'autorialità a tutti i costi, a favore di un mestiere e di un pragmatismo che bisognerà tenere presenti nel tentativo di render conto dell'ennesima svolta registica, arrivata nelle sale attraverso le forme del noir metropolitano di "Cha cha cha".
Al centro della scena, Roma, notturna e misteriosa, e poi un indagine, quella di Corso, investigatore privato chiamato a fare luce sulla morte del figlio di una ricca signora della borghesia capitolina (Michelle) che un tempo ha amato, e che ora lo supplica di aiutarla in memoria dell'antico legame. A contrastarne l'operato un ex collega e poliziotto che lo vuole fuori dai piedi, e la minaccia di chi preferirebbe lasciare le cose come stanno.
Se il film di Risi, prima ancora della scena finale che attraverso il ballo del titolo ci regala una conclusione all'insegna della leggerezza e del buon umore, è dotato di una riconoscibilità tutta italiana, derivata dalla scelta di utilizzare i volti di un immaginario popolare e modaiolo (Argentero, Amendola e la Herzigova), preme dire che il modello di riferimento è invece frutto della lezione americana proveniente dalle trasposizioni filmate dei Romanzi di Dashiell Hammett e Raymond Chandler. Di quelli riprende non solo la visione di una società decadente ed irrimediabilmente corrotta, ma soprattutto l'ideale romantico di una diversità - quella incarnata dal private eyes di turno - ancora possibile, ed espressa pur condividendo il destino degli altri uomini. Risi ed insieme a lui il cosceneggiatore Andrea Purgatori inseriscono il protagonista - il detective Corso (Luca Argentero) deluso quanto basta per farne un cane sciolto - all'interno di uno schema risaputo, con l'incarico a pagamento che funziona come motore della vicenda, facendo del detective il trait union di mondi opposti: in questo caso quello affaristico ed imprenditoriale rappresentato dal compagno di Michelle, l'avvocato Argento interpretato da Pippo del Bono, contrapposto al sottobosco, malavitoso ed oscuro, a cui Corso si rivolge per cercare informazioni. Una scelta che permette al film di assolvere alle esigenze di tensione e di spettacolo, con il detective costretto a schivare pericoli provenienti da ogni dove, ed al contempo di far sentire l'amarezza derivata dalla presa di coscienza di un malessere esistenziale endemico e generalizzato.
Risi dimostra di conoscere i meccanismi di genere ma li traduce senza riuscire ad interpretarli. Una caratteristica che appartiere tanto alle immagini quanto alla scrittura. Al mondo caotico ed indecifrabile desunto dalla storia il regista fa corrispondere un tessuto visivo che evita di sporcarsi con la materia a cui si rivolge, azzerando nella sostanziale omogeneità delle sequenze la stratificata complessità della vicenda. Una semplificazione che investe anche il paesaggio, elemento fondamentale della dialettica interna al noir, e qui invece, sottratto a qualsiasi tipo di ricognizione e peculiarità che non siano quelle di offrire ai personaggi il palcoscenico per la loro esibizione. E che dire poi del testo scritto, sviluppato con una linearità che non da spazio ad alcuna ramificazione (la doppiezza del poliziotto interpretato da Amendola così come quella del potere occulto che sembra presiedere l'intera faccenda non vengono per nulla approfondite) confermando anche dal punto di vista dell'intreccio l'impressione di un mondo enigmatico solo a parole, ma in realtà piegato ad esigenze di scorrevolezza e fruibilità. Valga per tutti l'inserto ambientato nel centro avveniristico ed occulto, capace di decriptare qualsiasi telefonata. Dapprima la sua apparizione sembra presupporre chissà quali segreti, ed invece a conti fatti si rivela l'espediente più economico, ma anche sbrigativo, per leggittimare uno dei passaggi cruciali della vicenda, quello che permette a Corso di scoprire parte della verità. A prevalere è dunque la natura di una dispositivo (produce Rai cinema) calcolato su misura per lo sfruttamento extra sala e televisivo. In questo senso la pragmatica professionalità di Marco Risi ha le carte in regola per soddisfare gli obiettivi che il film si è dato.
23/06/2013