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recensione di Stefano Santoli
9.0/10

Un fotografo si intromette in una setta integralista su cui vuole realizzare un reportage. Il leader della setta, padre Tiburcio, è un ex attore, che si traveste con una lunga parrucca corvina. I suoi riti, su uno dei quali si apre il film, sono performance canore collettive. L'arrivo del fotografo provoca la fuoriuscita di una delle adepte, vergini, che avrà conseguenze psicologiche destabilizzanti. In parallelo il film insegue incertezze e dubbi artistici di Homer, regista insicuro del montaggio di un film che ha terminato di girare ma per il quale forse ha bisogno di una scena aggiuntiva della protagonista: il film racconta di una suora che abbandona i voti per sperimentare la sessualità, con esiti diversi dalle attese. Il raccordo fra le due linee narrative di "Century of Birthing" è chiaro: due donne abdicano alla castità. In un caso costretta con la forza, nell’altro per autonoma decisione. In entrambi i casi è l’intervento di un uomo, sempre un artista visuale, a determinare le azioni delle donne: il fotografo agisce direttamente nella realtà per scardinare la setta di Tiburcio, il regista Homer agisce nella finzione, immaginando che sia la donna a scegliere. Ma entrambi immaginano una rivoluzione sulla pelle degli altri: donne, per la precisione. Il film di Homer parte da un assunto intellettuale che forse è un teorema ideologico: probabilmente è la consapevolezza di questa aporia di fondo a determinare le incertezze che assalgono il regista. Homer è un chiaro alter ego di Lav Diaz, non privo di sfumature autoironiche. Il film si intitola "Woman of the wind" e corrisponde ad un'opera effettivamente girata da Diaz (il film – di cui vediamo ampi estratti, cosicché "Century of Birthing" si compone di fatto di 3 linee narrative indipendenti – ha tutte le caratteristiche dello stile di Lav Diaz).

"Century of Birthing" è uno dei risultati più alti di Lav Diaz per come intreccia mirabilmente tematiche care al cineasta filippino quali l’autocritica del ruolo dell’intellettuale, la problematizzazione del gesto rivoluzionario e la condizione subalterna della donna (su cui tornerà nell'immediatamente successivo "Florentina Hubaldo, CTE", 2012). La donna è doppiamente vittima. Da un lato, come tutti, della Storia; dall’altro degli uomini, che vogliono ribellarsi alle ingiustizie e per questo propongono soluzioni dalle conseguenze nefaste. Sotto questo aspetto, "Century of Birthing" (2011) è diretta prosecuzione di "Melancholia" (2008), dove il protagonista pretendeva che due donne superassero i loro traumi facendole immedesimare completamente in due ruoli archetipici, una prostituta e (di nuovo) una suora, provocando il suicidio di una delle due.

Molteplici piani di lettura si sovrappongono. Di fondo, le metafore sono politiche, e gravitano attorno alla volontà di liberazione dall’autorità e al suo fallimento. L’aspirazione intellettuale, maschile, all’autodeterminazione di qualcun altro si traduce in forme di violenza. Fornire soluzioni alle condizioni in cui altri vivono (anche interi popoli, forzando il discorso) è pretenzioso e paternalistico. Tantopiù imporle o provocarle. Il discorso generale sul ruolo dell’artista e dell’intellettuale, centrale nella poetica di Diaz [1], nella sottotrama di Homer si lega a una riflessione metalinguistica sul ruolo del cinema, non priva di amare sfumature autoironiche, ma nobilitata dalla mise en abyme, che dimostra piena consapevolezza della complessità del problema, pur non potendolo risolvere.

"Century of Birthing" è il penultimo film completamente autoprodotto da Diaz tramite la sua compagnia Sine Olivia Pilipinas, prima di "Norte, the End of History", film del 2013 visto come una svolta produttiva ed estetica. In "Century of Birthing", tuttavia, già scorgiamo le premesse delle novità che Lav Diaz introdurrà nel suo cinema degli anni Dieci, quello della consacrazione critica e festivaliera (Pardo d'oro, Leone d'oro, Premio Alfred Bauer a Berlino). Se il passaggio al colore di "Norte" resterà un unicuum, la sua durata più contenuta si ripresenterà in diversi film: ma già "Century of Birthing" è, pur con le sue 6 ore, più compatto di molti film del decennio precedente. Soprattutto, si avverte già la strutturazione narrativa più articolata che caratterizza i lavori del nuovo decennio. I film di Diaz si presentano sempre come rapsodiche peregrinazioni fra blocchi di vicende indipendenti, ma da "Century of Birthing" si attenua la totale predominanza della descrizione sulla narrazione. Si avverte insomma, già a partire da questo film, la tensione crescente per la narrativa che viene solitamente riconosciuta a partire da "Norte". Questa evoluzione stilistica è stata a volte associata a dubbi – a nostro avviso malriposti – sulla tenuta dell'istanza eversiva di fondo, in termini estetici, del cinema di Lav Diaz.

Nei film di Lav Diaz, si diceva, è usuale una narrazione alternata di vicende distinte di molteplici personaggi, che progressivamente si accostano, si raggrumano in una vicenda unitaria. I due blocchi paralleli di "Century of Birthing" - composti a loro volta di tanti segmenti, momenti, punti di vista diversi - rimangono scissi e indipendenti, raccordandosi meramente a livello analogico e mai a livello diegetico. Convergono soltanto nel finale, dove comunque Homer e l'adepta reietta della setta di Tiburcio si sfiorano appena, in una lunghissima sequenza costruita su pochi long take (probabilmente, di tutto il film, la sequenza più prossima al "tipico" cinema di Diaz).

Fino alla fine, le ellissi che intervengono fra un segmento e un altro aprono vertigini maggiori rispetto alle opere precedenti del cineasta. Non che la particolare fissità e persistenza temporale dei singoli quadri non sia la medesima di altri film (anche se mancano blocchi davvero esasperanti e totalmente privi di azione per decine di minuti): ma in "Century of Birthing" proprio la particolare indipendenza dei blocchi di cui il film si compone è tale da potenziare la sensazione (paradossale, se si considera il minutaggio) che fra una sequenza e un'altra vi siano interi abissi di fatti, incontri, eventi rimasti fuori, tagliati via dal montaggio. Anche perché il montaggio alternato appare sin dall'inizio lievemente più serrato. A proposito: la vulgata per cui in Lav Diaz il montaggio sia praticamente assente dimostra una sottostima gigantesca del ruolo determinante del montaggio nella creazione di significati nel suo cinema: è lo stesso Diaz a suggerircelo, per tramite del personaggio di Homer, bloccato proprio in post produzione dal montaggio.

Quello di Lav Diaz viene segnalato come la quintessenza del cinema contemplativo, perciò, in teoria, dovrebbe attenersi completamente a canoni di stretto realismo. Ma questi sono meri costrutti teorici, poveri di senso: è lo stesso cineasta a indicarcelo, anzitutto costruendo l'intera operazione su due vicende che dialogano in termini squisitamente allegorici, poi immettendo nel film le sequenze del film girato dal proprio alter ego, e quindi regalandoci addirittura degli squarci onirici improvvisi. Sono due sequenze che rimangono impresse nella memoria, di straordinaria bellezza. La prima appartiene al girato di Homer: è un momento di inquietante elegia in cui la protagonista sogna il villaggio della propria infanzia. Nella seconda, le angosce di Homer prendono le sembianze della propria madre, che viene a visitare in sogno lo studio del regista: la camera a mano irrompe con un silenzio metafisico, e la fluidità del suo movimento scuote la fissità dello sguardo di tutti gli altri quadri del film, con la potenza di un terremoto.

 

[1] "Death in the Land of Encantos" (2005), per esempio, metteva al centro un poeta di ritorno nel suo paese devastato da un cataclisma, in crisi di fronte alla tragedia. Anche in "Evolution of a Filipino Family" (2004) c’era un film nel film con un regista, Taga Timog, alter ego di Lav Diaz.


13/05/2020

Cast e credits

cast:
Perry Dizon, Angel Aquino, Hazel Orencio, Joel Torre


regia:
Lav Diaz


titolo originale:
Siglo ng pagluluwal


durata:
360'


produzione:
Sine Olivia Pilipinas


sceneggiatura:
Lav Diaz


fotografia:
Lav Diaz


montaggio:
Lav Diaz


costumi:
Perry Dizon, Noel Miralles, Hazel Orencio


Trama
In parallelo, due storie. Una setta cristiana dominata da un leader ex attore, in cui si intromette un fotografo: le conseguenze saranno devastanti. Le incertezze di un regista, alle prese con il montaggio di un film su di una suora che decide di lasciare i voti e sperimentare la carnalità.
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