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recensione di Matteo Pernini
6.0/10
Con buona pace di William, una rosa, se chiamata in altro modo, potrebbe anche non emanare la stessa gradevole fragranza. Di questa opinione, almeno, sembra essere Pierre, docente universitario e padrone di casa per la serata che sta organizzando assieme alla moglie Babou, insegnante e casalinga. Tra gli ospiti l'amico di famiglia Claude, musicista, e il cognato di Pierre, Vincent, facoltoso agente immobiliare, assieme alla moglie Anne, incinta del loro primo figlio. Uno spunto irriverente e beffardo, nella fattispecie il nome del nascituro, sarà sufficiente ad innescare l'incontenibile deriva verbale dei protagonisti in un crescendo di tensioni e rivelazioni, pronte a denudare le false sottotrame dei loro rapporti, minando così il precario equilibrio di un affiatamento sincero, ma succube di una forzata ed insistita spregiudicatezza di fondo.

Se è ammirabile il coraggio e la cura con cui gli esordienti Alexandre e Matthieu hanno saputo trasporre al cinema i raffinati calembour verbali della loro omonima pièce, conservando intatto quell'afflato di ironico cinismo e spontanea disinvoltura che ne rappresenta la cifra essenziale e ne aveva decretato la fortuna presso il grande pubblico, qualche perplessità permane sulla natura della messa in scena e la capacità dei due registi di sfruttare il mezzo cinematografico per instaurare con i nuovi spettatori un diverso rapporto di fruizione dell'opera.

Siamo ben lontani dai rischi di un asettico teatro filmato, eppure il retaggio di un testo concepito per funzionare all'interno di un sistema drammatico come quello teatrale penalizza la possibilità di un vero coinvolgimento emotivo dello spettatore. Se sul palcoscenico la presenza di una definizione spaziale già ultimata spingeva i protagonisti all'impiego di un ritmo interpretativo scandito sugli accenti delle frasi e i toni più che sui movimenti scenici, al cinema sarebbe richiesta una più spinta partecipazione fisica degli attori. In questo senso il film paga lo scotto dell'impiego degli stessi interpreti (eccetto il caso di Pierre) che avevano portato il testo a teatro: cosa che da un lato consente una resa perfetta dei tempi comici, ma dall'altro induce una certa immobilità nella rappresentazione (quasi sempre i protagonisti rimangono fermi o seduti, anche nelle più violente esplosioni di rabbia), che l'efficace scansione del montaggio non sempre riesce ad edulcorare.

A questo punto chi scrive vorrebbe potersi esimere dall'ennesima, facile citazione del recente "Carnage", ma una diffusa moda della critica ufficiale ci impone di sottolineare (per non sentirci in difetto) almeno la discrepanza tra gli sconosciuti di Roman e l'ampio retroterra di intesa delle coppie di coniugi di Alexandre e Matthieu, nonché il divario tra l'esibita dimensione fisica del primo film e il contenuto esercizio retorico del secondo.

Tutto vero, in effetti, ma la disparità più evidente può, forse, essere avvertita nello sviluppo dei caratteri: proprio qui il raffinato congegno narrativo di "Cena tra amici" subisce un intoppo. Al termine di "Carnage" quei personaggi educati, cortesi, ben vestiti e ben pettinati gettano la maschera, rivelando la natura violenta, ipocrita, facilmente corruttibile di un modello di vita asservito alla falsità delle convenzioni borghesi, mentre alla fine di "Cena tra amici" è arduo affermare di sapere qualcosa di più sui protagonisti che hanno cercato di mettersi vicendevolmente a nudo le coscienze. Pierre si rivela un altezzoso e polemico intellettuale, tale e quale ci era apparso sin dalla prima scena; allo stesso modo i personaggi di Vincent, beffardo e arrogante, Babou, gentile e frustrata dalle incomprensioni del marito, Claude, mite e bonario e Anne, amorevole, ma determinata, non vengono demoliti da una regia pronta a svelare ciò che si nasconde oltre il perbenismo del vivere civile, ma, anzi, confermati nelle loro nature, negli atteggiamenti, persino nelle reciproche incomprensioni. E il finale, allegro ed accomodante, se consente di uscire dal cinema con la soddisfazione di chi vede riconciliati i torti ed appianati i contrasti, non nega un certo rammarico per non aver saputo sfruttare appieno la promettente materia di base.

Dai divertenti inserti visivi che accompagnano le digressioni fuori campo di Vincent sui nomi delle vie parigine e le atroci morti dei dedicatari, allo stupore tragicomico per le inattese rivelazioni finali, Alexandre e Matthieu imbastiscono un'elegante commedia da camera, che, pur titubante tra un'irrisolta ambizione di critica sociale e il puro divertissement, riesce a restituire, con freschezza ed educato cinismo, un'immagine inconsueta della precarietà dei rapporti interpersonali. E se la morale compiacente celebra il trionfo degli affetti, è pur vero che non si può chiedere tutto ad un'opera prima; d'altro canto certi autori sono come il vino lasciato decantare da Pierre prima del banchetto: necessitano di tempo per maturare appieno.


09/07/2012

Cast e credits

cast:
Patrick Bruel, Valérie Benguigui, Françoise Fabian, Charles Berling, Guillaume De Tonquedec, Judith El Zein, Miren Pradier


regia:
Alexandre de La Patellière, Matthieu Delaporte


titolo originale:
Le prénom


distribuzione:
Eagle Pictures


durata:
109'


produzione:
Chapter 2, Pathé


sceneggiatura:
Matthieu Delaporte


fotografia:
David Ungaro


scenografie:
Marie Cheminal


montaggio:
Célia Lafitedupont


costumi:
Anne Schotte


musiche:
Jerome Rebotier


Trama

Vincent, agente immobiliare di successo è invitato a cena dalla sorella Babou e dal cognato Pierre, cerebrale professore di letteratura all'università, assieme all'amico di famiglia Claude. In attesa della ritardataria moglie Anne, incinta, Vincent rivela ai commensali il nome del nascituro, dando l'avvio ad un crescendo di situazioni grottesche.

 

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