Proviamo a pensare ad una giovane coppia che si vuole bene e decide di sposarsi. Immaginiamo proprio le varie fasi del loro amore: il primo incontro casuale, un po' di timidezza, le uscite complici, il fatidico bacio, il consolidamento del rapporto di coppia fino al matrimonio, la decisione di fare un figlio e poi, l'arrivo della crisi, con la lenta ma inesorabile disgregazione di quanto costruito.
Il film di D'Alatri ha il pregio di affrontare in modo diretto le problematiche di coppia, e per ravvivare il racconto escogita un simpatico espediente narrativo, affidando ad un prete sopra le righe il ruolo di ipotetico narratore. Interessante anche la scelta di non concentrarsi in modo esclusivo sui due protagonisti e di raccontare il loro amore anche attraverso il microcosmo di parenti, amici, colleghi di lavoro che gravitano loro intorno. Commenti, affermazioni, silenzi, pettegolezzi, rischiano infatti di minare la perfetta alchimia di una coppia, insinuando sospetti, suffragando tesi, ingigantendo dubbi. Il mondo del lavoro puo' essere un'importante affermazione di se stessi, ma anche una facile via di fuga quando all'entusiasmo, nella coppia subentra la routine. Il non sempre facile cammino di due persone che si vogliono bene e scelgono di vivere responsabilmente il loro amore, pero', nonostante il tocco gentile del regista, la spontaneita' degli attori, la verve dei dialoghi, pur ponendo problematiche reali, resta in superficie.
Alla fine si ha la sensazione di avere partecipato ad un amore piu' teorico che davvero vissuto. I personaggi di Tommaso e Stefania, infatti, risultano privi di quella irrazionalita' emotiva che nel quotidiano condiziona piu' di una scelta. Sono figurine graziose, affrontano scelte universali, ma rappresentando tutte le storie d'amore, finiscono con il non vivere appieno la loro. A ben guardare, infatti, la semplificazione operata nel film sul carattere dei personaggi, li rende piu' una somma di luoghi comuni che persone vere, con un carattere con cui convivere, ambizioni, sogni, sangue, sudore. Manca quel tocco di follia che inceppa il meccanico susseguirsi di cause ed effetti, rendendo la vita meno piatta di quello che il film vuol farci credere. Efficace all'inizio, ma un un po' abusato e prevedibile nel corso della narrazione, il paragone tra l'amore e l'equilibrio dei pattinatori. Il finale, aperto ma consolatorio, e' debitore, per montaggio delle immagini e movimenti della macchina da presa, delle tante pubblicita' a cui D'Alatri ha collaborato: non sfigurerebbe, infatti, in mano agli invitati e agli sposi, un gelato alla panna o una bibita dissetante.
(in collaborazione con
Gli Spietati)
11/04/2008