Ogni storia d'amore è una storia di eredità e ogni storia di eredità è la storia di un tramonto. È lungo questo denso assunto romantico, lungo questa strettoia concettuale che si muove "Cars 3": con nostalgia e malinconia, senso del gioco e percezione del tempo passato, per cercare di confezionare un sigillo simbolico degno di una saga iniziata nel segno dei grandi racconti americani e forse smarritasi nella gestione americana dell'intrattenimento, nelle idee a forma di merchandise e nelle tematiche direzionate dagli obiettivi economici. L'ultimo capitolo della trilogia Pixar su Saetta McQueen è una chiamata alle armi della passione che riporta in carreggiata storia e personaggi dopo una parentesi internazionale dimenticabile (e dimenticata). Una chiamata che, ritornando ai sapori grezzi e realistici del primo capitolo e alle dinamiche metaforiche legate alla parabola esistenziale dell'amata auto da corsa, realizza uno spettacolo forse imperfetto, ma di certo mosso da emozioni autentiche: perché rodate da una rispolverata consapevolezza narrativa e filtrate attraverso la scattante fame di chi racconta una storia di cuore con i mezzi del cuore.
Questa volta il nucleo tematico è più drammatico, più serio e anche meno gioioso del solito: Saetta è diventato lento, vecchio e sorpassato; le nuove generazioni di auto sono migliori per prestazioni e appeal, più scattanti e fanno mangiare la polvere alle vecchie guardie. Quale forza, quale coraggio e quali sacrifici sono necessari per trasformare la vecchiaia in esperienza, la lentezza congenita in velocità di pensiero e la potenza meccanica in forza emotiva motrice? A queste domande il film regala risposte attraverso un racconto che incatena le tappe della caduta, della resilienza e della risalita in una lunga serie di momenti evocativi studiati per emozionare ed esaltare. Malgrado difetti evidenti, riscontrabili soprattutto nelle gag e in una certa ingenuità nella caratterizzazione dei nuovi personaggi, il film infatti sa come puntare al traguardo dei sentimenti di chi è cresciuto con le sgommate di Saetta ed è abile (anche grazie alla natura di storyborder del suo regista Brian Fee) a sintetizzare nelle immagini e nelle soluzioni audiovisive il misto di divertimento e tristezza che si prova nel guardare l'ultima avventura di un grande campione: risplendono i colori della sua carrozzeria ammaccata, esultano le traiettorie compiute in aria, ruggisce il suo motore maleducato e pieno di fango.
Siamo nel territorio di una agiografia animata dichiarata, che però non scivola in soluzioni improbabili e conosce bene i limiti dei suoi personaggi. Le costruzioni di senso e le scelte narrative della seconda metà in questo senso sono illuminanti e rileggono tutti i conflitti del film come gli elementi di una lunga metafora sulla contrapposizione tra tradizione e novità, vecchio e nuovo, mente e corpo, da cui si possono estrapolare messaggi didattici - a vincere davvero non è il più forte ma colui che ha consapevolezza del proprio ruolo, della propria storia e delle proprie capacità - e considerazioni costruttive sul mondo del cinema - grazie a un confronto diretto tra le differenti potenzialità del digitale e dell'analogico. I livelli di lettura sono molteplici fino a quando, con pochi momenti di cesura, il finale non li assimila tutti. È allora che "Cars 3" si dimostra in definitiva la perfetta chiusura della saga: sincero negli errori, cinico nelle svolte più difficili ed emozionato nelle pieghe di ogni piccolo momento significativo, il film vince perché inserisce i personaggi in un'ellissi da ricordare; perché li lancia in una dimensione in cui il passato è una voce che spiega come curvare con intelligenza, il presente una derapata rischiosa e il futuro una capriola a pochi centimetri dalla fine. Perché fa quello che gli si poteva chiedere: inquadrare un tramonto, raccontare un'eredità e chiudere una storia d'amore.
02/10/2018