La carriera di un artista è materia volatile, soggetta a mille variabili e alle incognite di chi si trova non solo a fare i conti con se stesso, a ragionare con le idiosincrasie di una personalità che diventa arte attraverso continue revisioni psicologiche, ma anche per il fatto di avere a che fare con il gusto degli altri: del pubblico innanzitutto, irrazionale e volubile, ago della bilancia di formidabili ascese e rovinose catastrofi, dei produttori eternamente condizionati da matematiche finanziare, e poi non ultime dalle persone che appartengono alla sfera personale. Famiglie allargate chiamate a misurare con gesti affettuosi il passare del tempo e lo stato dell'arte di chi vuole continuare a dialogare con il proprio tempo.
Per questi motivi realizzare un film su un attore/regista come Carlo Verdone non era facile. Ma non solo: di mezzo c'era anche un immaginario ingombrante per longevità, successo e per quel trasformismo che appartiene alla capacità di metabolizzare un'epoca nel rinnovamento continuo del proprio repertorio. Segnali di un talento inequivocabile e proprio per questo difficile da ingabbiare in un contenitore come quello realizzato da Fabio Ferzetti e Gianfranco Giagni, che in poco più di un'ora e mezza aveva il compito di fare il punto su un vitalismo di tale portata. In casi come questi la difficoltà di cogliere l'essenza del soggetto, di toccare i territori dove nasce la visione si trasforma non di rado in una celebrazione acritica che non aiuta ad approfondire né l'uomo né l'artista, come per esempio si è verificato nel recente documentario dedicato a Woody Allen (
Woody, 2012).
Cosa che per l'appunto non succede in "Carlo!". A distinguerlo da operazioni analoghe c'è innanzitutto la generosità di Verdone che nel restare se stesso anche di fronte alla macchina da presa si apre ad un sorta di confessione in cui ricordi più dolorosi come quello della recente scomparsa del padre, oppure leggeri, legati ad una gioventù tutto sommato spensierata, prendono vita con un paesaggio che la telecamera fa rivivere attraverso materiali di repertorio eterogenei (d'archivio o super 8 provenienti anche dalla cineteca personale), ma anche visitandone luoghi e paesaggi: dalla casa natale, ormai vuota ma ricca di presenze imperiture, alla spiaggia di ostia dove Verdone ancora bambino si divertiva insieme ai coetanei durante la colonia estiva, ed ancora a ponte Sisto, dove il capodanno veniva celebrato con abbondante uso di fuochi d'artificio. Ma c'è in "Carlo!" anche la capacità dei realizzatori di indagare il personaggio senza sradicarlo dal proprio contesto, immergendolo anzi in un set immaginario e scenografico, con Verdone seduto sulla sedia da regista, appena illuminato da un cono di luce a restituirne l'inconfondibile figura. E' lì, circondato da un buio fisico e ancestrale dal sapore
felliniano (non a caso il Sordi de "Lo sceicco bianco" è uno dei riferimenti artistici del protagonista) che il film prende forma, diventando diario intimo e insieme antologia, con gag e sequenze tratte dagli anni della gavetta - dai primi lavori televisivi agli esordi cinematografici basati quasi esclusivamente sulla caratterizzazione dei personaggi - fino alle ultime opere dove l'importanza dei temi rispetto alla caricatura e alle maschere ha permesso a Verdone di essere sdoganato da una parte di critica che per quel motivo lo aveva relegato a palcoscenici di secondo piano. E se il carosello di amici e compagni di lavoro è ovviamente a suo favore, il film si mantiene comunque obiettivo quando lascia spazio ai chiaroscuri, evitando di tagliare interventi come quello di Goffredo Fofi, che pur condividendo il giudizio generale, avanzano qualche dubbio sulle doti registiche del cineasta. Insomma un ritratto a tutto tondo che fa riflettere e divertire, e che meriterebbe l'uscita nelle sale anziché la destinazione home video annunciata dal produttore.
03/06/2013