La regista Francesca Balbo segue la vita routinaria delle guarda-barriera, le donne che nell'entroterra sardo controllano gli incroci dove i binari si intersecano con le strade di campagna, e che, appuntando una catena con una paletta rossa al suo gancio, delimitano il traffico automobilistico al passaggio del treno.
Nell'epoca della sovrabbondanza tecnologica e della velocità, la realtà documentata dalla regista sembra più vicina a un film di Rossellini che all'immediata contemporaneità. Fuori dal tempo e dal luogo. Dimentichiamo la Sardegna del mare cristallino, delle notti brave e delle cascate di champagne e ci addentriamo tra viscose boscaglie, polposi fichi d'india, greggi e contadini. Conosciamo le guarda-barriera e le osserviamo nella loro ritualità; l'ossessione per la sveglia e gli orari dei treni scandisce la loro giornata, devono essere precise e puntuali, non possono sbagliare. Anche se succede, ammettono.
Restano lì, al limitare di strade abbandonate dal fluire cittadino e per lo più frequentate dai lavoratori limitrofi, ad aspettare per ore il prossimo treno: lenti retaggi dai sedili in pelle marrone, spesso spogli di uomini, che collegano piccole stazioni con la loro segnaletica vinta dalla ruggine. Le ore scorrono piano nella noia e la ripetitività di un gesto che sembra banale, ma che condiziona la vita tutta di queste donne. Lavorano a maglia, raccolgono mandorle; si fanno compagnia come possono, ma quando finisce il lavoro, al contrario, il tempo accelera la sua corsa e le donne devono assecondarlo per poter assolvere anche al loro compito di moglie-mamma. Questo lavoro, prettamente femminile, si eredita di mamma in figlia e la generazione passata, nel documentario, testimonia la durezza del lavoro prima dell'avvento di alcune migliorie, come il telefonino che permette alle lavoratrici di comunicare tra di loro sugli arrivi dei treni o l'obbligo di lavorare non oltre le 22, mentre in passato si lavorava tutta la notte. Le donne della ferrovia di oggi, invece, guardano con invidia al passato, quando si poteva lavorare durante i festivi, senza rinunciare a quei 250 euro. Una duplice visione che rimarca quella conflittualità meglio/peggio-passato/presente sempre vivida nel mondo del lavoro. Dall'altro lato, c'è il timore del futuro: in un mercato del lavoro stagnante, il passaggio a livello che man mano si insinuerà anche tra le sperdute campagne sarde, è paventato dalle donne che tengono a preservare il loro posto di lavoro.
Nel panorama documentaristico italiano, svariate sono le opere dedicate al lavoro: "Morire di lavoro" e "Sic Fiat Italia" di Daniele Segre o "A casa non si torna" di Lara Rongoni e Giangiacomo De Stefano. "Cadenas" non è, però, solo un documentario sul lavoro. Da una parte ci accompagna in una realtà sconosciuta e dimessa, bella nella sua arcaica semplicità; dall'altra ci mostra come il lavoro di queste donne non finisca all'orario stabilito, ma si insinui nel privato, fino a condizionare anche i piccoli gesti. Francesca Balbo intervista e segue costantemente queste signore al lavoro, fino a sera. E fuori dal contesto lavorativo testimonia il loro - difficile - tentativo di conciliare la vita privata e il ruolo di mamma. Cuciti insieme questi elementi, ne viene fuori un documentario delicato e intimo, che crea un ponte di empatia con queste lavoratrici che paiono così lontane. E ora più vicine.
regia:
Francesca Balbo
distribuzione:
La Sarraz Pictures
durata:
60'
produzione:
La Sarraz Pictures
sceneggiatura:
Francesca Balbo
fotografia:
Francesca Balbo, Andrea Turri
montaggio:
Carlotta Cristiani, Bruno Oliviero
musiche:
Dario Miranda