Vediamo che cosa possiamo scrivere di nuovo a proposito di un film di Carlo ed Enrico Vanzina. Si potrebbe tentare l'esperimento del "gioco ad esclusione"; in altre parole cominciamo con l'eliminare tutti gli stereotipi del cinema vanziniano che ricorrono in "Buona giornata" per l'ennesima volta. Cominciamo con le maschere regionali: che si tratti di naufraghi selvaggi o commensali a un pranzo domenicale, i Vanzina vanno avanti per macchiette geografiche: il romano fa il romano, il milanese il milanese, il napoletano il napoletano e via dicendo.
Poi ci sono le maschere professionali: il principe decaduto che in realtà è un rozzo ed efficace dispensatore di perle di saggezza strappa-applauso; l'evasore fiscale che rivendica la sua missione sociale; il marito fedifrago; il tifoso di calcio che preferisce la sua squadra del cuore alla propria donna.
Poi c'è la struttura ad episodi. Grande pregio della commedia all'italiana, la scelta dei due fratelli romani pare spesso dettata da una certa pigrizia, aggravata dal fatto che già di per sé gli script non sono certo il massimo dell'originalità. Spezzare il film in piccole storie disimpegnate rende il lavoro di scrittura apparentemente meno gravoso.
Poi c'è la solita regia. Un po' da vecchio sceneggiato tv e un po' da televendita, la macchina da presa dei Vanzina insiste indolente sulla stessa strada da decenni: fissa a fotografare le bellezze del nostro Paese, lascia entrare e uscire dall'inquadratura gli attori come si fosse su un set posticcio.
Poi c'è il cast, uguale a se stesso nei secoli dei secoli, fa venire alla mente, in questo caso, un singolare fenomeno: la metarecitazione! Gli interpreti spesso riproducono vecchi personaggi già fatti in varie forme da loro stessi nei film precedenti. Esemplare il nome del personaggio di Maurizio Mattioli (per inciso, il più bravo di tutti), uguale a quello di una serie televisiva di poco tempo fa.
Poi c'è il solito grosso problema che i due figli d'arte hanno con la risata. E per dei registi che vorrebbero fare della commedia, ciò è ancora più preoccupante. Il problema dei Vanzina è che non curano minimamente la costruzione della scena comica, lasciandola pigramente svolgere davanti agli occhi dello spettatore senza una grande attenzione ai dettagli, né a quelli scenici né a quelli di scrittura. E così tutto si risolve nella solita battutona di Christian De Sica, meglio se con una parolaccia.
Tralasciando gli elementi più deleteri di tutta la pellicola, come ad esempio l'indimenticabile interpretazione di Teresa Mannino, il difetto più grave dei Vanzina è quello appena elencato, ovvero, la ripetizione dei soliti difetti, sempre gli stessi, riprodotti quasi con la fierezza di chi a una certa età non può certo avere l'umiltà di cambiare.
A cambiare invece sono le aspettative che i due fratelli medesimi caricano sui loro nuovi film. Ma è curioso sentire dai figli di Steno che questo sarebbe il film che loro padre girerebbe fosse vivo ora. Sembra davvero voler cancellare con un colpo di spugna a cuor leggero decenni di commedia nazionale. In questo, spiace dirlo ai simpaticissimi Carlo ed Enrico, ma Carlo Verdone ha recentemente applicato con molta più dignità la lezione di comicità dei nostri illustri Padri.
cast:
Lino Banfi, Diego Abatantuono, Christian De Sica, Vincenzo Salemme, Maurizio Mattioli
regia:
Carlo Vanzina
distribuzione:
Medusa Film
durata:
0'
produzione:
Medusa Film, International Video 80
sceneggiatura:
Carlo Vanzina, Enrico Vanzina
fotografia:
Carlo Tafani
montaggio:
Raimondo Crociani
costumi:
Nicoletta Ercole
musiche:
Manuel De Sica