"Bobby", film corale dal sapore
altmaniano, su cui Emilio Estevez ha iniziato a lavorare dal 2000, racconta le diverse vicende di 22 personaggi nell'Ambassador Hotel di Los Angeles dove - nella notte tra il 5 e il 6 giugno del 1968 - fu ucciso da Sirhan Sirhan Robert F. Kennedy, dopo il suo discorso per la vittoria nelle primarie democratiche in California. Ma quella notte non morì semplicemente un uomo. Morirono anche le speranze e i sogni di moltissimi americani, che vedevano in Robert Kennedy l'uomo che avrebbe portato gli Stati Uniti fuori dalla guerra in Vietnam ("Hanno creato un deserto e lo chiamano pace", diceva in merito) e grazie a cui sarebbe stata possibile l'integrazione tra le diverse razze (soprattutto dopo la morte - il 4 aprile di quello stesso anno - di Martin Luther King).
Estevez dirige in modo molto asciutto, senza alcun virtuosismo, limitandosi a seguire i diversi personaggi. E molto sapientemente non fa interpretare Kennedy (che compare solo attraverso filmati d'epoca originali) a nessun attore. A tratti retorico, sa però essere commovente e molto intenso (pur nella sua linearità e nella sua semplicità), soprattutto nella parte finale, in cui - sulle note di "The Sound Of Silence" prima e su di un discorso di Kennedy poi ("La violenza genera violenza") - vengono mostrati lo sgomento, la rabbia, la paura di un'America che fino al momento di quegli spari credeva che fosse realmente possibile un cambiamento.
"Bobby" è un film che parla della Storia attraverso piccole storie di gente comune (non solo di chi era direttamente coinvolto in quella campagna elettorale), a volte appena tratteggiate, colte nel pieno della loro essenza (pur non cogliendo sempre nel segno, come nell’episodio di Martin Sheen).
E questo grazie anche all'ottimo lavoro svolto da un cast di tutto rispetto: Anthony Hopkins (qui anche nelle vesti di produttore), anziano portiere dell'albergo ormai in pensione, che passa la giornata giocando l'ennesima partita a scacchi con Harry Belafonte e che, tra i tanti personaggi famosi incontrati nella sua vita, riesce a salutare anche il senatore oramai vincente; Lindsay Lohan, che sceglie di sposare, contro il volere della famiglia, il giovane Elijah Wood per non farlo andare in guerra; William H. Macy, direttore dell'Ambassador e sua moglie che fa la parrucchiera (Sharon Stone, che - dopo il cameo in "Broken Flowers" - dimostra quanto sia decisamente più a suo agio nell'interpretare piccoli e intensi ruoli, piuttosto che la
femme fatale); Christian Slater, che con il suo cinismo e il suo razzismo mostra l'altra faccia dell'America; la cantante alcolizzata Demi Moore; il
pusher Ashton Kutcher; il cameriere messicano Freddy Rodriguez, che vorrebbe andare a vedere quella che poi si rivelerà una partita di baseball storica ma che è costretto a fare il doppio turno; Laurence Fishburne, cuoco di colore, idealista e sognatore.
Forse il miglior commento a questa (bella) pellicola, è proprio quello di Estevez, che ha dichiarato: "Io credo che 'Bobby' non celebri nessun partito. Celebra, piuttosto, un uomo, un leader che l'America ha perduto nel momento più importante".
26/05/2008