Blanca (Laura López), o Blanquita, vive in una casa famiglia guidata da padre Manuel (Alejandro Goic); è la testimone chiave in un processo per abusi sessuali che coinvolge esponenti di spicco della politica cilena. Ma forse, la sua verità, è una menzogna.
Gesù
Blanca è il ragazzo abbandonato di “Jesus”, sussume la violenza di “Carne de Perro”; Fernando Guzzoni ha reso l’incomunicabilità un epifenomeno della violenza, tutti uguali, delinquenti e orfani, assassini e abusati, davanti all’emarginazione, “solo qui siete esseri umani”, perché la casa famiglia segna un limite diatopico e affettivo, esistenziale, e l’unica via per scappare, che verrebbe in mente a chiunque, è mentire, scoprire l’ego, toccare i flash dei giornalisti.
Blanquita si appropria della storia di un altro ragazzo, abusato da due politici cileni che organizzavano festini in una villa sulle colline fuori Santiago, ne studia i dettagli, i testicoli asimmetrici, il neo sul collo, l’odore del glande, li ripete davanti allo specchio, anche lei è stata abusata, da piccola, ma non dagli uomini che accusa (per conto di); per Manuel non importa, perché “menzogne come queste sono fatte di verità”, come la religione, o come, verrebbe da dire, la perizia psichiatrica che promuove l’attendibilità di Blanca e non quella del ragazzo abusato. È noto, l’onore della prova spetta al querelante.
Gema Malo
“Blanquita” è anassiologico, l’etica non ha una correlazione positiva o negativa, bene o male, giusto o sbagliato, due categorie svuotate del loro significato, che programmano una dimensione antinomica, distorta, pronta al ribaltamento. La storia di Gema Malo – il nome vero della ragazza a cui è ispirata la storia di Blanquita – provocò una rottura prolungata nella società cilena: ha mentito, ma che importa se i colpevoli sono colpevoli? Quanto conta il rapporto tra accusa e accusatori? È un gioco di specchi (?), quello di Blanquita, nel bagno del tribunale, i prismi di una persona, e ancora, infine, perché “loro possono struprare ma io non posso mentire?”.
Blanquita è uno dei personaggi più interessanti di Venezia79, cerca il riscatto nella menzogna, il grido di un essere umano per la sopravvivenza, imprevedibile, perché in tasca ha solo le sue emozioni e un progetto, il tentativo di appartenere, che Guzzoni ha costruito vicinissimo alla protagonista, tra un angolo occlusivo e un’inquadratura appicciata ai personaggi, ossessionata da un paradosso spaventoso, menzogna e verità lambiscono i propri contorni, grattano, disturbano, come il sonoro onnipresente del film, da thriller, pronto a esplodere, nell’unico desiderio di Blanquita, ossia “avere una casa”, non essere salvata, quello è impossibile, forse inutile.
cast:
Ariel Grandón, Daniela Ramírez, Marcelo Alonso, Amparo Noguera, Alejandro Goic, Laura López
regia:
Fernando Guzzoni
distribuzione:
Jan Naszewski – New Europe Film Sales
durata:
99'
produzione:
Giancarlo Nasi – Quijote Films
sceneggiatura:
Fernando Guzzoni
fotografia:
Benjamín Echazarreta
scenografie:
Estefania Larraín, Angela Leyton
montaggio:
Jarosław Kamiński, Soledad Salfate
costumi:
Francisca Román
musiche:
Chloé Thevenin