Il politicamente corretto torna a fare breccia nel cinema hollywoodiano. Per la verità, non è mai passato di moda, ma mai come in questo ultimo anno stiamo sperimentando un ritorno di pellicole che affrontano tematiche legate all'attualità del costume e della società americane con uno stile improntato alla prevedibilità, all'innocuità della narrazione, alla superficiale messa in scena di concetti già detti e quindi che non implicano rischi di prese di posizione divisive.
Tutta questa premessa per far rientrare anche il pessimo film di Mike Binder nel novero dei titoli prescindibili, delle piccole operette liberal scritte e girate con l'obiettivo di difendere l'etichetta della confezione o reiterare la buona reputazione di chi produce, dirige e magari recita davanti alla cinepresa. L'operazione dietro "Black or White" è talmente smaccata che demolirla dà quasi la sensazione di infierire crudelmente su un soggetto indifeso. Funziona così: un attore fieramente difensore di diritti civili e libertà si adopera per adattare un libro di successo, una storia di integrazione razziale, ma anche difficoltà e diffidenze fra comunità bianca (immancabilmente collocata nell'alta borghesia ben istruita) e comunità nera (di grande cuore e sentimenti infiniti, ma alle prese, ovviamente, con povertà e tentazioni varie). Se la star in questione è un nome di peso come Kevin Costner, c'è da star certi che il progetto vedrà la luce.
A quel punto si ingaggia un cineasta senza grandi pretese, l'onesto Mike Binder (quello di "Reign Over Me"), cui si chiede la stesura di uno script che non possa prescindere dal soverchiante ruolo da protagonista onnipresente del divo-produttore. A quel punto resta da includere nel progetto una bonaria figura riconoscibile dal grande pubblico, ma al tempo stesso capace di non fare ombra a Costner stesso, il premio Oscar Octavia Spencer. Manca solo una storia densa di commozione, facile da far arrivare a un gruppo di spettatori che non aspettano altro che specchiarsi nell'etica buona e giusta, la sola. Ecco allora che c'è una bimba mulatta, rimasta senza genitori (in realtà il padre, nero, è solo un tossicodipendente scappato di casa), con un nonno bianco e alcolizzato (Costner, appunto) e una nonna nera e senza grande cultura (la Spencer). I due danno il via a una battaglia legale per l'affidamento della piccola.
Lo scontro, però, non vorrebbe essere solo giudiziario. C'è infatti una posta in gioco ben più alta: la difesa delle proprie radici, l'orgoglio di chi non vuole farsi assimilare dal diverso. Allora, quale potrà essere l'unica strada percorribile, per non fare soffrire la bambina e trovare un compromesso? Chiaramente la morale conciliatoria e a buon mercato è dietro l'angolo e la si raggiunge attraverso una serie di snodi narrativi quanto mai telefonati e prevedibili. Non mancano, oltre tutto, cadute di stile ed eccessi melodrammatici gratuiti, come ad esempio le apparizione del "fantasma" della moglie del protagonista. Insomma, un prodotto medio, una missione da portare a termine senza alcuna fatica, un compito facile e di sicura presa verso chi cerca di immedesimarsi in una realtà fin troppo consolatoria.
cast:
Kevin Costner, Gillian Jacobs, Jennifer Ehle, Anthony Mackie, Octavia Spencer
regia:
Mike Binder
distribuzione:
Good Films
durata:
121'
produzione:
BlackWhite, Sunlight Productions, Treehouse Films, Venture Forth
sceneggiatura:
Mike Binder
fotografia:
Russ T. Alsobrook
scenografie:
Christian Wintter
montaggio:
Roger Nygard
costumi:
Claire Breaux
musiche:
Terence Blanchard