Tra praterie e casette neozelandesi non splende il sole. Non può, se anche l'animale per antonomasia più docile, l'innocente pecora, è adesso affamato di carne umana.
È l'idea di partenza che rende la pellicola in questione curiosa e divertente (almeno sulla carta).
Ciò che era un po' meno prevedibile era la riuscita degli intenti. Il regista Jonathan King, nato proprio in Nuova Zelanda, per la sua prima regia prosegue il discorso che un suo celebre connazionale aveva intrapreso tra il 1987 e il 1992, da "Fuori di testa" a "Splatters - Gli schizza cervelli". Pressoché impossibile pronosticare se il debuttante King voglia ricalcare le invidiabili orme di Peter Jackson, pensare in grande per il proprio futuro e magari, un giorno, di salire su un prestigioso palcoscenico a ritirare il suo bell'Oscar.
Per il momento ci si può accontentare di questo "Black Sheep". È ancora una volta il tema di un trauma a dare il via alle danze, di un trauma infantile subito dal protagonista, Henry, che, da piccolo, ha visto il fratello maggiore uccidere una povera pecora per poi indossarne il manto, provocando lo spavento proprio del piccolo Henry, che torna dopo quindici anni di lontananza alla fattoria ormai di proprietà del fratello che ha, a sua volta, ingaggiato una scienziata che possa arrischiare inediti esperimenti sulle povere pecorelle.
Jonathan King, supportato dalla fotografia classica di Richard Bluck, ci regala una messa in scena corretta che evita facili scorciatoie del tradizionale b-movie, con conseguenti effetti che ostenterebbero il budget ridotto, gestisce personaggi azzeccati e situazioni che non sono né troppo seriose né scadono nell'ovvietà demenziale.
Lo si può prendere come una parodia della parodia, quando gli apprezzabili e mai roboanti effetti speciali sono applicati nella mutazione dell'umano in pecora assassina, ma a ben vedere il rispetto per film come "Un lupo mannaro americano a Londra" di John Landis è totale tanto che non si ricalcano praticamente mai le indimenticate gesta altrui.
C'è chi ha intravisto una sagace satira di costume nella presenza di scienziati, imprenditori, animalisti, politici: troppa grazia. È, semmai, un nutrito gruppo di personaggi minori che fanno da riuscito corollario. E se è lecito il pensiero che va alla difesa dell'animale (le pecore sono sottoposte a sfruttamenti: dato di fatto) i sottotesti ecologisti, così come i rapporti familiari, non vanno mai al di là della semplice trovata stereotipata. Manca a "Black Sheep" il guizzo, l'idea geniale o anche soltanto abbastanza personale da poterlo porre al di sopra della sufficienza, ma d'altro canto non sembra che in questo caso il regista abbia puntato ad ambizioni più alte di quelle poi effettivamente ricavate: un riuscito divertissement.
cast:
Nathan Meister, Danielle Manson, Tammy Davis, Peter Feeney, Oliver Driver, Glenis Levestam, Matthew Chamberlain
regia:
Jonathan King
titolo originale:
Black Sheep
distribuzione:
Mediafilm
durata:
87'
produzione:
Philippa Campbell
sceneggiatura:
Jonathan King
fotografia:
Richard Bluck
scenografie:
Kim Sinclair
montaggio:
Chris Plummer
costumi:
Pauline Bowkett
musiche:
Victoria Kelly