Tempo fa in tv passavano, in prima serata, dei documentari finanziati dalla Rai che riuscivano a girovagare in lungo e in largo per i più svariati luoghi d'Italia, alla ricerca di prodotti culinari che ancora potevano dirsi genuini. Autori come Mario Soldati scovavano, senza nemmeno particolare difficoltà, terre tanto popolate quanto ancora incontaminate. C'era passione in quelle immagini, nelle scorribande di paese che ergevano a monumenti prodotti alimentari che erano un vero vanto per il nostro Bel Paese.
Chissà se in una di quelle tappe, mandate in onda o anche soltanto registrate o sfiorate, si sottolineava l'indubbio splendore di periferie campane. Produzioni agricole, frutteti, allevamenti di bestiame, verdi distese componenti una purezza del tutto perduta.
Nel 2007, molte di quelle zone verdi sono diventate vittime di un male assoluto dei nostri tempi.
Niente di meglio che riportare un passaggio di un articolo scritto dal giornalista Peppe Ruggiero (che abitualmente si occupa dei rapporti ecomafie per "Legambiente") nel 2006:
"Un lungo stradone, la spina dorsale del diavolo, un budello di asfalto e cemento ostinatamente definito strada, che collega i comuni dell'hinterland
a nord di Napoli con le rotte dell'ecomafia. Percorrendo l'asse mediano voltando lo sguardo a destra e a sinistra tra centinaia di case abusive, capannoni industriali anonimi, casermoni di cemento si intravedono le colonne di fumo nero che minacciose danno il benvenuto. Siamo nella Terra dei fuochi. Qualiano, Villaricca, Giugliano, il "triangolo della monezza". Qui a pochi km da Napoli, comincia l'area che nel piano regolatore della camorra è stata assegnata alla sepoltura illecita dei rifiuti. Un territorio che unisce la camorra casertana, del clan dei casalesi, con quella napoletana del clan dei Mallardo. E' proprio il caso di dirlo, in questo triangolo maledetto comandano loro. I clan della rifiuti connection. I becchini della camorra che, tra l'impunità assoluta, sfacciatamente continuano a seppellire ed incendiare i rifiuti. Di tutti i tipi. Di giorno e di notte. Senza distinzione. Basta farsi un giro in qualsiasi giorno della settimana. Anche in pieno giorno. Camminando tra le terre divorate dalla diossina, dal rame, il fumo nero ti arriva fino alla gola. Gli occhi incominciano a lacrimare".Peppe Ruggiero, l'apprezzata montatrice Esmeralda Calabria (collaboratrice anche di Nanni Moretti e Paolo Virzì) e il giovane regista salernitano Andrea D'Ambrosio sono gli autori di "Biùtiful Cauntri", reportage di guerra terribile e radicale.
L'auto dell'educatore ambientale Raffaele Del Giudice inizialmente vagabonda per i territori campani con impassibilità ed impotenza. Totalmente immersa in una realtà dove l'assurdità dei risultati è un frutto amaro da subire all'ordine del giorno.
Sui bordi delle strade rifiuti tossici abbandonati, l'immondizia che brucia creando ampie nuvole di fumo, diossina che si espande incontrastata ammazzando pecore e risucchiando raccolti e produzioni agricole.
"Biùtiful Cauntri" non si avvale di immagini da telegiornale, non vuole parlare del problema dei rifiuti urbani napoletani.
In quelle sostanze industriali tossiche e sparpagliate in luoghi tanto di periferia quanto totalmente ignorati da ogni servizio pubblico, esplodono malattie incurabili. La diossina può provocare cancri, tumori, malattie cardiache, diabete e chi più ne ha più ne metta.
Tremenda l'apocalittica sequenza delle pecore morte "come insetti", infilate in sacchetti di plastica o portate al plotone di esecuzione con forza.
Nel film-documentario la voce fuori campo è quella del presidente della Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti la cui relazione è stata approvata nel 2006. In questa relazione (oltre 100 pagine, pare), viene ben delineata la situazione: il Parlamento, quindi, sa. Sa delle 1200 discariche abusive campane, dell'aumento dei tumori causati dalla diossina, del rapporto tra la criminalità organizzata (
ecomafia), ricchi imprenditori del nord (aberranti le intercettazioni telefoniche che si ascoltano a un certo punto della pellicola) e lo smaltimento dei rifiuti industriali.
Il film evita i toni apocalittici, ma il quadro generale che ne esce non è per nulla riconciliatorio: gli inceneritori promessi continuano a non essere costruiti, le terre risucchiate da diossina e rifiuti tossici provocano un massiccio calo di prodotti ortofrutticoli che hanno comunque perso definitivamente la genuinità di un tempo e un silenzio e un menefreghismo generale che incombe ineluttabile.
I tre autori, tra le circa 130 ore di girato hanno estrapolato 83 minuti tremendi e necessari, ottenendo un viaggio nel disgusto dell'entroterra campano che non può che dirsi necessario. Indignando.
26/06/2008