Chi l'ha detto che il principe che salverà la sua terra deve essere un eroe. Dove è scritto che sarà un cavaliere senza macchia. Le attese, si sa, germinano idealizzazione e più si prolungano nel tempo più il bisogno di mitizzazione diventa necessario per la sopravvivenza di un popolo. A volte però, sono proprio gli antieroi quelli in grado di "Fare Mondi", come recita il titolo della biennale della Laguna.
Ed infatti il bellissimo "Ahasin Wetei" ("Between Two Worlds"), presentato alla mostra del cinema di Venezia, ritrae un mondo che si interseca con un altro ed al centro della vicenda un ragazzo che non ha le né le fattezze né l'animo dell'eroe. Anzi le sue gesta, i suoi comportamenti sono spesso dettati da bassi istinti, dall'egoismo, ma in qualche modo rientrano in un tessuto narrativo e mitico più ampio, più complesso. La genesi di un microcosmo nasce dal racconto che se ne fa di esso sembra dirci il regista Vimukthi Jayasundara, scaturisce dalla sua pancia, dal suo respiro profondo, viene alla luce dal popolo che come un gigante addormentato tra le catene sogna lo sciogliersi dei suoi lacci. Il liberatore allora non può che arrivare come un inviato del cielo, quasi fosse un'epifania: la prima sequenza del film è proprio una caduta nell'acqua dall'alto, un tuffo nel mare. Risvegliatosi sulla spiaggia Rajith sente l'eco di tumulti in città (forse rivolti contro i media e il loro potere invasivo).
In un paesaggio post-apocalittico, piovono dalle finestre televisori, negozi con monitor e schermi vengono distrutti, il giovane comincia la sua avventura un po' on the road, un po' picaresca lungo uno Sri Lanka arcaico e magico. Questo viaggio lo porterà a sfiorare la vita e la morte più volte, lo costringerà a confrontarsi con se stesso, con la sua generosità, ma anche con le sue pulsioni e soprattutto con la sua natura di non eroe. Da ultimo infatti dopo aver tentato di salvare un villaggio dall'avvelenamento delle sua acque cercherà rifugio, codardamente, nella cavità di un tronco. Come in un gioco di richiami ogni sua azione si scontra con le gesta descritte nel mito quasi a stigmatizzare la differenza tra leggenda e realtà.
"Between two worlds" è un classico "film da festival", lontano dal grande pubblico per la sua natura ermetica e misteriosa, ma assolutamente straordinario dal punto di vista visivo. Un'opera densa di significati profondi, di suggestioni, girata con il respiro del documentario e la prassi di un cinema poetico ed evocativo. La realtà permeata dal racconto orale, dalle leggende che circolano tra i pescatori, tra le voci senza volti dei villaggi di campagna è la vera protagonista. Il suo lento evolversi si dispiega nel silenzio, nella fiaba, sempre enigmatico e contraddittorio accompagnato dai movimenti docili e lenti della mdp. Un peccato che film del genere possano circolare solo ai festival, un peccato pensare che la poesia sia per pochi.
11/11/2009