Ondacinema

recensione di Carlo Cerofolini
5.0/10

Se non è un record poco ci manca. Stiamo parlando del "Ben-Hur" di Timur Bekmambetov che aggiorna il numero dei film tratti dal romanzo di Lee Wallace portandolo a quota quattro. Dettaglio questo che va oltre la statistica perché ogni valutazione di merito espressa nei confronti della nuova versione diretta da Bekmambetov non può non tenere conto delle domande che prima della visone del film si interrogavano sulle reali necessità di rispolverare un soggetto ampiamente sfruttato. Se le ragioni rispondevano a motivi di ordine economico e quindi alla possibilità di mettere in piedi un blockbuster in grado di monopolizzare gli incassi del box office allora bisognava essere consapevoli sulle difficoltà di poterlo fare con un genere, il peplum, che dopo i fasti delle grandi produzioni hollywoodiane degli anni '50 e '60 solo saltuariamente ha riservato soddisfazioni proporzionali allo sforzo degli investimenti finanziari. E magari accorgersi di alcune costanti presenti nei pochi - tra questi "Il Gladiatore" di Ridley Scott e "Troy" di Wolfgang Petersen - che si erano salvati dal disastro. E per esempio del fatto che la grandeur dell'allestimento scenografico e la maestosità delle sequenze non erano fine a se stesse ma in funzione del carisma e del fascino della star di turno (Russell Crowe, Brad Pitt) a cui spettava la responsabilità di farsene promotore nei confronti delle platee mondiali. E ancora che l'apparato storico e mitologico messo in campo dalle costruzioni narrative di quei film si teneva lontano da qualsiasi rimando al tempo presente e anzi lavorava sull'immaginario collettivo in senso opposto. L'epica scaturita dalle gesta del pelide Achille e del generale Massimo Decimo Meridio era non a caso quanto di più lontano potesse esserci dagli eroi della modernità perché scaturiva da una prestanza fisica e da uno spirito di sacrificio che poteva fare a meno di poteri sovrannaturali e delle sovrastrutture politiche e ideologiche.

Detto che la trama pur con qualche eccezione - una delle quali è rappresentata dal legame parentale tra il principe giudaico Judah Ben Hur e il romano Messala che nel film di William Wyler non veniva contemplata - rimane pressoché identica, con l'odissea del protagonista deportato a Roma per ingiusta causa e dopo una lunga serie di sventure, tra cui quella di doversi guardare le spalle dal fratello adottivo diventato nel frattempo il suo principale accusatore, pronto a tornare a casa per cercare di ritrovare la madre e la sorella, il "Ben-Hur" del nuovo millennio si gioca le chance di successo cercando di condensare le sue meraviglie all'interno di un minutaggio tagliato di circa due ore rispetto ai 219' previsti dalla versione del cinquantanove.

Giova ricordare che la perigliosa anabasi di Ben Hur è destinata a incrociarsi con la figura di Gesù di Nazareth e quindi con le tumultuose vicende che dalle rivolte degli zeloti alla condanna a morte per mano di Pilato porteranno il protagonista a convertirsi ai piedi della croce, mettendo fine ai propositi di vendetta maturati nel corso della crudele detenzione. Questo per dire dell'eterogeneità dei vari filoni narrativi e quindi della difficoltà di organizzare una sintesi così drastica senza intaccare la coerenza logica e drammaturgica del racconto. Ed è qui il primo punto a sfavore del film perché ad ostacolare la regia di Bekmambetov c'è una sceneggiatura (scritta tra l'altro dal John Ridley di "12 anni schiavo") che non riesce ad essere credibile quando dopo aver alimentato per oltre due ore l'odio tra Ben Hur e Messala impiega pochi minuti per farli riconciliare. Da cartellino rosso - e qui passiamo al comparto tecnico - è pure la scelta degli attori e il loro impiego perché alla mancanza di physique du role da parte di Jack Huston (nipote del grande John) si sommano la gestione sconsiderata del loro look, con il miscult prodotto dell'uso di maglioncini, foulard ed altri accessori che farebbero la fortuna di un qualunque boutique radical chic e che sfidano in termini di inadeguatezza quelli utilizzati da Richard Gere per interpretare Lancillotto ne "Il primo cavaliere"; per non parlare delle treccine rasta messe in testa ad un attore del calibro di Morgan Freeman, che nel ruolo di un ricco commerciante di cavalli si presta a un ridicolo di immani proporzioni. Il regista da parte sua fa quel che può (la famosa corsa delle bighe è quantomeno dignitosa anche se resa meno affascinante dall'invadenza dell'artificio tecnologico) ma la fantasia manifestata nella trilogia de "I guardiani della notte" rimane un miraggio, mentre ce ne vorrebbe molta per rendere meno enfatico il didascalismo del sotto testo filmico che, equiparando le modalità dell'occupazione romana a quello attuata dagli Stati Uniti di Bush e Obama nei territori del medio e lontano oriente non perde occasione per ammonirci sui pericoli che scaturiscono dalla volontà di imporre ad altri (in questo caso agli ebrei dell'antica Palestina) usi e costumi della propria civiltà. Ogni riferimento a fatti e personaggi della storia contemporanea è ovviamente puramente casuale ma sufficiente per le ragioni esposte in precedenza a far scappare il pubblico che in America ha disertato le sale. Costato intorno ai cento milioni di dollari e girato a Cinecittà e nella splendida cornice dei Sassi di Matera trasformata nella Gerusalemme del nuuovo testamento, "Ben-Hur" rischia di diventare uno dei grandi flop degli ultimi anni. 


29/09/2016

Cast e credits

cast:
Jack Huston, Toby Kebbell, Morgan Freeman


regia:
Timur Bekmambetov


distribuzione:
Universal Pictures


durata:
123'


produzione:
Metro-Goldwyn-Mayer, Paramount Pictures, Sean Daniel Company


sceneggiatura:
Keith R. Clarke, John Ridley


fotografia:
Oliver Wood


scenografie:
Naomi Shohan


montaggio:
Dody Dorn, Richard Francis-Bruce, Bob Murawski


costumi:
Varvara Avdyushko


musiche:
Marco Beltrami


Trama
La storia di Ben Hur nato principe e diventato schiavo per mano dei Romani