Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
6.5/10

Una donna si reca in una stazione di polizia per denunciare il rapimento del figlio ad opera dal marito da cui è in procinto di separarsi. Ma siamo in Azerbaigian, una nazione coinvolta nel conflitto per riconquistare il Nagorno-Karabakh, diventato secessionista a causa delle mire espansioniste armene, e tutti sono presi dal solo pensiero della imminente fine della guerra. Il film di Tahmina Rafaella, presentato a Venezia 79 per le Giornate degli autori, è tutto in questa dialettica tra le ragioni personali e gli interessi della collettività. Una dialettica che nel corso della diegesi viene sostenuta fino all’ultimo minuto, mentre lo spettatore, che solidarizza con la protagonista, sente su di sè la morsa dell’indifferenza.

Banu, a causa dei tradimenti del marito Javid, ha deciso di separarsi. Per la custodia del piccolo Ruslan è però necessario che qualcuno testimoni per lei, che possa cioè comprovare le sue doti di madre coscienziosa e responsabile. Difficile, in una società profondamente patriarcale e tradizionalista; ancor più difficile in un contesto in cui il marito gode di una posizione socio-economica di prestigio; pressochè impossibile laddove il pensiero della guerra sembra schiacciare ogni categoria morale. Ma Banu lotta contro tutto e tutti: il suo carattere indomito ricorda la resilienza dell’omonima silenziosa protagonista de "Nabat" (2014), di Elchin Musaoglu. E ciò nonostante lo sguardo dei due registi sia tuttavia differente per tono e ambientazione: mentre Tahmina Rafaella rimarca per contrasto la mancanza di solidarietà nel vivo del tessuto urbano, brulicante di bandiere, comunicati radiofonici patriottici e scritte inneggianti al martirio, Elchin Musaoglu ritrae una società sparente, che le case via via più vuote del villaggio montano contribuiscono ad esacerbare. Del conflitto, nel primo film ci giungono solo le voci, i lamenti delle vedove; nel secondo ciò che resta dopo il suo passaggio, o al massimo gli echi notturni delle deflagrazioni. In "Banu" si combattono in verità due guerre: accanto a quella che rimane sullo sfondo, di cui tutti parlano e che ha una contabilità che si esplicita nelle processioni alle abitazioni delle vedove, c’è quella solitaria della protagonista, la cui ostinazione porta all’evoluzione di due personaggi chiave: la madre, che incarna l’acquiescenza alla società androcratica, tanto da sconsigliare alla figlia il divorzio, e Farida, una domestica che stringe al grembo un ritratto del figlio caduto, restia a testimoniare in favore di Banu.

Nel corso del film, i messaggi dei manifestanti (“Cammina a testa alta, madre di un martire”), o le scritte sui muri (“Una nazione non si divide”) assumono ben altro significato per la protagonista e insinuano nello spettatore il vincolo morale di una scelta di campo, ma soprattutto testimoniano la densità semiotica della pellicola. A confermare la duplicità interpretativa di espressioni che inevitabilmente perdono univocità è l’affermazione di Farida “Non potevo permettere che un’altra perdesse suo figlio”. Con essa le due paure (quella di vedersi privata dell’affido del figlio e quella di perderlo in guerra) contrapposte per tutta la durata del film, si saldano nella dimensione materna della sofferenza. L’intreccio scelto dal regista ripropone il rapporto tra il tema della guerra, quello del patriarcato e quello della condizione femminile, in un triangolo tematico simile a quello di "Bosnia Express" (2021).

Lo stile registico di Tahmina Rafaella è fatto di inquadrature strette e mosse che seguono la protagonista soprattutto nei momenti di tensione e di una fotografia che negli interni perde vivacità fino ad assumere una palette giallognola e quasi seppiata in interni, giacchè è soprattutto nel chiuso delle pareti domestiche che si estrinseca il ruolo dominante dei capifamiglia. È qui che l’oscurantismo si traduce in oscurità, che la macchina da presa mossa preannuncia attacchi di panico. Le vivaci inquadrature dei grandi spazi coincidono invece con i momenti in cui l’anelito all’affermazione dei propri diritti spinge la protagonista sulla strada dell’ottimismo.


02/10/2022

Cast e credits

cast:
Kabira Hashimli, Emin Asgarov, Hajar Aghayeva, Zemfira Abdulsamadova, Melek Abbaszade, Zaur Shafiyev, Tahmina Rafaella


regia:
Tahmina Rafaella


titolo originale:
Banu


durata:
90'


produzione:
Noori Pictures


sceneggiatura:
Tahmina Rafaella


fotografia:
Turaj Aslani


scenografie:
Sebuhi Atababayev


montaggio:
Mastaneh Mohajer


costumi:
Rufat Balakishiyev


Trama
In uno dei tanti angoli dimenticati del mondo e dal mondo, l’Azerbaigian sconvolto dalla guerra con la confinante Armenia per la riconquista del Karabak, Nabat, una donna risoluta e volitiva, nell’indifferenza quasi totale lotta per separarsi dal marito e ottenere l’affido del figlio; per raggiungere il proprio obiettivo, tuttavia, ha bisogno della solidale testimonianza di qualcuno.