recensione di Nicola Picchi
4.0/10
Il mercenario Toorop riceve da Gorsky, un mafioso russo, un incarico che non può rifiutare: deve far arrivare clandestinamente negli Stati Uniti una ragazza di nome Aurora, scortandola fino a New York. Ma la ragazza, cresciuta in un convento, è dotata di misteriosi poteri e anche altri sono sulle sue tracce.
Quando un regista si dissocia pubblicamente dal proprio film, le aspettative si orientano pericolosamente verso il basso. È quello che è accaduto con "Babylon A.D.", il cui autore, Mathieu Kassovitz, ha dichiarato che la Fox non gli ha mai dato la possibilità di girare una scena così come era stata concepita, e che non gli è stato permesso di rispettare la sceneggiatura. Kassovitz aggiunge che il film è solamente "violenza e stupidità", e che si è trattato di "un'esperienza terribile". Non si può che dargli ragione, dato che l'esperienza è oggettivamente terribile anche per lo spettatore e, se con la violenza non si abbonda poi così tanto, si cerca di compensare con la stupidità. È anche vero che il regista, dopo il fulminante esordio de "L'odio" nel lontano 1995, non ha più indovinato un film, e forse i demeriti andrebbero equamente ripartiti.
Tratto dal romanzo "Babylon Babies" dell'ottimo Maurice G. Dantec, non solo il film non riesce a restituirne la complessità, cosa che si dava per scontata, ma lo ridicolizza inventandosi personaggi francamente improponibili, come la suora Rebecca interpretata da Michelle Yeoh (in originale, un'israeliana del Mossad armata di AK-47), o rimestando senza fantasia in situazioni da b-movie, girate male e montate anche peggio. La semplificazione della trama era in un certo senso obbligata, dato che Dantec predilige possenti quanto stimolanti elucubrazioni pseudofilosofiche, ma non certo la sua completa obliterazione a favore del nulla assoluto, che resterà sullo stomaco anche ai consumatori compulsivi delle multisale. Il mondo distopico dipinto da Kassovitz estremizza le angosce e le tensioni del presente alla maniera de "I figli dell'uomo" di Alfonso Cuarón, di cui "Babylon A.D." pare una versione trash, ma le disavventure del mercenario Toorop a spasso nel futuro prossimo venturo, passando dal Kazakhistan a Vladivostok e dall'Alaska al Canada, suscitano un tedio profondo persino nelle anemiche scene d'azione, che sembrano gli scarti rimasti in sala di montaggio di un qualunque James Bond. Le caratteristiche messianiche della giovane Aurora e le sbandierate preoccupazioni per il futuro del pianeta, che il regista parrebbe voler rimarcare con l'entusiasmo del neofita, sconcertano per la banalità dell'assunto, almeno quanto sconcerta il risultato complessivo per l'approssimazione della regia, dato che persino in film obiettivamente indifendibili, come "I fiumi di porpora" o "Gothika", Kassovitz azzeccava qualche sporadica sequenza
Vin Diesel, dopo alcune parentesi non troppo felici in cui ha cercato di riciclarsi, torna alla monolitica espressività di Riddick ma rimane incapace di dire una battuta, sia pure la più elementare come quelle che tocca subire in "Babylon A.D.". In più, la situazione è notevolmente peggiorata da assurdi camei, un Depardieu con un inutile naso posticcio, un imbarazzato Lambert Wilson e una spiritata Charlotte Rampling, nonché da un finale fastidioso per stucchevolezza, didascalismo spicciolo e becera ovvietà. Completano il tutto pessimi effetti CGI e risibili scampoli cyberpunk, mentre l'unica nota positiva è la fotografia di Thierry Arbogast, collaboratore storico di Luc Besson. Che altro aggiungere? Lasciatelo perdere e leggete "Babylon Babies", appena ripubblicato con il medesimo titolo del film per sfruttarne l'uscita.
27/09/2008