Per un appassionato di animazione Mamoru Oshii è una conoscenza imprescindibile. Il suo "
Ghost in the Shell" del 1995, oltre ad avere segnato l'inizio di una nuova era nell'utilizzo della computer grafica in animazione, andrebbe messo per l'importanza rivestita nel genere
cyberpunk alla pari di un
cult-movie come "Blade Runner".
Gli altri suoi lavori, per quanto meno blasonati di questa vera e propria pietra miliare, definiscono comunque anch'essi una concezione e un utilizzo dell'animazione molto seri, connotati da una forte drammaticità che quasi mai lascia spazio a toni leggeri o all'umorismo. Le storie di Oshii sono crude, private di qualunque fronzolo, e i drammi presentati per quello che sono, senza divagazioni.
Ne sono un esempio i film "Patlabor" 1 e 2, lo è in maniera quasi brutale "Jin-Roh" (in cui Oshii è sceneggiatore), come lo è il mediometraggio "Blood - The Last Vampire" (suo il soggetto).
In questo senso Oshii ha contribuito in maniera eclatante a liberare il genere "animazione" da una reputazione che, soprattutto in Occidente, non gli ha mai permesso di accedere a testa alta all'olimpo del "cinema".
E' dunque con una buona dose di curiosità che ci si avvicina a questo "Avalon", film "in carne ed ossa" che Oshii gira in Polonia nel 2001 avvalendosi di attori europei.
Avalon è un gioco di guerra simulata, in cui i giocatori si connettono tramite un'interfaccia visivo/neurale ad un computer centrale che riproduce campi di battaglia, armi, nemici, missioni che possono essere affrontate in solitaria o formando dei gruppi con altri giocatori. Giocare ad Avalon comporta un'alta dose di rischio, sia perché si tratta di un gioco illegale, sia perché esiste la possibilità che la mente del giocatore sviluppi una dipendenza e resti intrappolata nel gioco, lasciandone il corpo in stato vegetativo. Questi giocatori diventano così degli "unreturned", dei "non ritornati"; la loro coscienza resterà per sempre persa fra gli scenari bellici del gioco.
Tuttavia giocare ad Avalon per alcuni costituisce addirittura una fonte di sostentamento, in quanto ad ogni missione completata, e in base al punteggio ottenuto, si ha diritto a una ricompensa.
Alla base del film vi è dunque un tema già distintivo di "Ghost in the Shell" e del
cyberpunk in generale: l'interfaccia uomo-macchina, e la dicotomia tra il "sé" reale e il "sé" in quanto proiezione del sé reale nella macchina, o nella rete.
Un altro tema analogo riguarda la percezione della realtà: quanto possiamo considerare "reale" quello che vediamo? In fondo si tratta sempre di impulsi ricevuti dalle nostre terminazioni nervose, gli stessi che possiamo ricevere da una macchina. E allora, se dal nostro cervello non sono distinguibili, quale dei due stati gode di un maggior grado di realtà?
La nostra protagonista, Ash, è una giocatrice a tempo pieno; non ha amici, non ha vita sociale, la sua vita è completamente assorbita da Avalon. Col tempo nel gioco si è guadagnata la fama di giocatrice solitaria, e di migliore della cosiddetta "classe A", una sorta di "girone avanzato". Tuttavia qualcosa inizia a cambiare quando fa la sua comparsa un misterioso giocatore che sembra essere più in gamba di lei; il passato di Ash torna a galla, insieme ad alcune strane leggende circa il mondo virtuale di Avalon e una "zona segreta"...
Dal punto di vista estetico "Avalon" mostra un mondo buio e opprimente, in cui i colori sono soppressi a favore di una quasi monocromia che oscilla tra il seppia (nelle parti all'interno del gioco) e il grigio (nelle parti al di fuori di esso).
La storia è affrontata in modo freddo, distaccato; i protagonisti non mostrano alcuno slancio che lasci trasparire il desiderio di riappropriarsi di un'umanità ormai perduta. I dialoghi sono ridotti al minimo indispensabile, non c'è il più piccolo spazio per le facili emozioni. Oshii si pone orgogliosamente ad anni luce da qualunque tentazione
hollywoodiana.
"Avalon" è un film riuscito nella creazione di un affascinante mondo immaginario, e nell'esaminare il senso ambiguo della definizione di "realtà". Gli interrogativi che pone sono tutt'altro che semplici o di poco conto, e lo spazio per le riflessioni è davvero vasto. Pecca però di un ritmo talvolta esageratamente lento, dando uno spazio irrisorio alle scene d'azione e di combattimento, che sarebbe lecito aspettarsi più corpose, a favore di lunghi momenti interlocutori e semi-statici. Nel complesso la visione risulta piuttosto pesante.
E' comunque una buona prova per Oshii, certamente un film fuori dal comune per più di un motivo, e anche solo per questo meritevole di esser visto.
14/06/2008