"L'attesa", esordio dietro la macchina da presa di Piero Messina, già collaboratore di Paolo Sorrentino sui set di "
This must be the place" e "
La grande bellezza", è stato presentato all'ultima Mostra dell'Arte cinematografica di Venezia sotto i migliori auspici, con un cast italo-francese e la fascinosa ambientazione siciliana.
Ispirato a un dramma poco noto di Luigi Pirandello, "La vita che ti diedi", il regista, insieme al suo team di co-sceneggiatori, opera per attualizzare l'originale lasciando un'unica vera connessione, ossia il tema dell'assenza e della perdita. Il film inizia con le esequie del giovane Giuseppe, studente fuori sede tornato a casa per le vacanze pasquali e morto improvvisamente, in circostanza che non saranno mai esplicitate. La madre, Anna (Juliette Binoche), una donna francese che è rimasta a vivere in Sicilia nonostante il divorzio dal marito, è distrutta dal dolore e si chiude in un cupo lutto, oscurando gli specchi della casa di drappi neri. Scopre con sua sorpresa che è in arrivo Jeanne, la fidanzata (anch'ella francese) del figlio: invece di evitarle un viaggio superfluo, dicendole la verità, Anna la accoglie dicendo che anche lei attende suo figlio, il quale sarà sicuramente di ritorno per la santa Pasqua.
È curioso notare come molti abbiano liquidato frettolosamente il confronto col dramma di Pirandello, sicuramente tra i meno noti dell'autore siciliano, quando è da lì che si dovrebbe partire. Il primo atto e i presupposti narrativi sono molto simili, l'adattamento lavora essenzialmente su uno sfrondamento dei personaggi (non c'è un coro, è praticamente un dramma da camera) ma finisce anche per rimuovere l'essenziale perno pirandelliano del testo. Messina elimina due dettagli macroscopici della pièce originale: l'iniziale convincimento della madre riguardo la reale partenza del figlio, che sarebbe prima o poi tornato, e il fatto che la fidanzata sia incinta, aspetto scatenante un rapporto simbiotico e morboso, che la madre addolorata poteva vampirizzare in attesa del ritorno traslato del figlio. Si tratta di una deformazione del reale a partire da una percezione soggettiva che è topos centrale della drammaturgia pirandelliana e che ne "L'attesa" semplicemente non esiste: Anna è ben conscia della morte del figlio, così come è consapevole di mentire alla giovane francese e l'intera narrazione del film si regge su questo labile e a tratti poco credibile non detto. Anche l'ambientazione moderna rende poco credibile che una ragazza, per quanto scollegata dal mondo esterno dall'eremo bucolico, non venga a sapere della morte del fidanzato sul quale cala la più totale omertà (eccezion fatta per Pietro, il fedele servitore di Anna). Certo, si potrebbe dire che Messina aspiri a un esito diverso rispetto all'originale da cui trae ispirazione: se questo si concludeva con un'accettazione della morte (della propria morte, in quanto madre generatrice), "L'attesa" corregge il tiro lungo un percorso alternativo di elaborazione del lutto che porta a una sorta di rinascita.
A dire la verità, però, mancano gli elementi di interesse e di originalità in un terreno di scrittura impervio e sdrucciolevole: l'autore appare, ad esempio, indeciso sul rapporto che deve legare il personaggio della madre a quello della figlia, dando come assunto che entrambe siano in attesa, di un'accettazione o di un uomo in carne e ossa. Le increspature di ambiguità paiono strizzare l'occhio all'opera di François Ozon (si pensi a "Sotto la sabbia" o a "
Il rifugio"): nella goffa sequenza di seduzione (platonica) coi due ragazzi incontrati casualmente da Jeanne, Anna, che prima allestisce una cena elegantissima e luculliana, si cela successivamente dietro le quinte per osservarne lo svolgimento a debita distanza. Si nota allora come il personaggio protagonista sia sul filo dell'assimilazione filiale e della proiezione in una giovinezza ormai perduta, così come il suo sguardo sia prima affascinato e, subito dopo, amareggiato: in fondo, Jeanne è pur sempre la fidanzata del figlio. Nell'irresoluzione di questo rapporto, si percepisce la timidezza e il fiato corto del progetto del regista, il quale non esce mai dal seminato di una tematica piuttosto trita. Anche sul piano estetico, Messina pare bloccato su un modello di cura dell'immagine accademico e mai veramente personale: dopo i titoli di coda in formato videoclip, che - ammettiamolo - facevano tremare i polsi al pensiero di una emulazione sorrentiniana, riesce ad asciugare le piroette del suo maestro, ma la levigatura estrema di ogni inquadratura finisce per imbalsamare le immagini, fino alle escursioni nella campagna e nei paesaggi (anche archeologici) siciliani che stanno sempre a un passo dall'inciampo nella cartolina. Messina vuole far emergere dalle scene un corredo simbolico composto dalla casa-grembo, dall'acqua rigenerante e, naturalmente, dall'iconografia religiosa della Pasqua a cui fa manifesto riferimento la partecipazione alla suggestiva processione del venerdì santo con i penitenti incappucciati. Come a ribadire il superfluo, "L'attesa" segna la
via crucis dell'elaborazione del lutto, la
mater dolorosa in lacrime e in attesa per la resurrezione della carne. Ed è evidente, inoltre, come il film si appoggi proprio sul volto e sulle espressioni di Juliette Binoche: l'attrice si cala nei panni di Anna col pilota automatico sfoderando l'intensità che ben conosciamo, in un ruolo che ha radici lontane e che può ricordare un antecedente pesante e inarrivabile quale è "Film blu" di Krzysztof Kieślowski.
"L'attesa" è un'opera che non trova soluzione in alcuna delle sue componenti, nessuna delle quali ha lo slancio necessario per liberarsi da pastoie citazioniste o da modelli programmatici che rendono la pellicola inerte. Non ci sentiamo pertanto di annunciare che "è nato un autore", bensì ci limitiamo a dare il giusto risalto per una produzione all'altezza di ambizioni autoriali dall'ampio respiro che ci auguriamo abbiano tempo e modo di maturare nel futuro.
30/12/2015