Bolle, venature, frastagli: le incrostazioni sul muro dell'istituto geriatrico producono disegni surreali, ermetiche geometrie su cui la macchina da presa indugia. Il vecchio Romano (un meraviglioso Alberto Laiseca) vive in questo perimetro dimenticato. Davanti a enormi finestre abbaglianti, seduto sulla carrozzella, rinchiuso nel mondo semi-autistico. Jorge Ramirez (Sergio Pangaro), il grigio infermiere che lo cura, guida quotidianamente la sedia a rotelle lungo il triste chiostro. Porta l'uomo in giardino, gli passa preziose sigarette, gli somministra numerose pillole, scopre, infine, i suoi "straordinari" disegni.
Romano è un "artista" che il pubblico, però, non conoscerà mai, perché le sue eccentriche "opere" create col pennarello, schizzate su mille fogli di carta, finiscono, una dopo l'altra, nel cassetto di Jorge che le presenta, un giorno, a una galleria spacciandole come proprie. Dopo un'iniziale diffidenza, il giovane impostore suscita interesse e viene ingaggiato per una piccola mostra. Ma l'inatteso successo gli apre le porte della critica trasformandolo, in breve, in un "autore" d'avanguardia di fama internazionale. Corteggiato da docenti, osannato da cultori, oggetto di prestigiose conferenze, l'universo di Jorge cambia radicalmente finché accade l'imprevedibile.
Splendidamente fotografata dagli stessi registi (con lunga formazione video-sperimentale), quest'opera prima soffre, però, di alterigia. Dietro l'ironia delle austere, statiche inquadrature, dominate da un ocra spento ed elegante, si nasconde una messa in scena schematica, manichea che, perseguendo ostinatamente il fine della metafora, si perde nell'affilata congettura. A farne le spese è la segreta magia dei gesti di Romano, gli affascinanti movimenti delle sua mano e della penna che stringe tra le dita. Quadri isolati nel loro incomprensibile fascino arcano che, tuttavia, sfiorisce in un implacabile freddezza narrativa. Un intimo itinerario, assai suggestivo, ingiustamente sottovalutato.
Che cosa è 'l'arte'? Sta solo negli occhi di chi la guarda? Chi è 'l'artista'? Cohn e Duprat non danno risposte. Scelgono uno sguardo distaccato, spiazzante, provocatorio inquadrando spazi vuoti al posto delle "criptiche" opere esposte. I disegni, cioè, diventano la definitiva allegoria, l'invisibile prospettiva rovesciata da cui osservare i visitatori. La galleria d'arte si trasforma, così, in un preciso punto di vista antropologico, divertente, ma pretenzioso. Un'operazione intrigante e scivolosa.
11/10/2009