Prima di cominciare (visione o lettura che sia), facciamo un piccolo passo indietro.
Il cambio di decennio-secolo non pare aver giovato molto a Woody Allen, che nel giro di tre anni sforna tre film decisamente poco convincenti ("Criminali da strapazzo" del 2000 ed "Hollywood Ending" del 2002), per non dire addirittura inutili ("La maledizione dello Scorpione di Giada", datato 2001).
Certo, scrivere-dirigere-avolteinterpretare un film praticamente ogni anno non è facile per nessuno ed ogni tanto l'ispirazione può venire meno, l'ingranaggio arrugginirsi. Ma fa sempre piacere aspettare, attendere il ritorno di quell'ispirazione che tante volte ha saputo deliziarci.
E allora, ancora una volta, si comincia.
Titoli di testa in bianco, su sfondo nero. Attori presentati rigorosamente in ordine alfabetico. L'immancabile sottofondo jazz. New York. Inizio in puro stile Allen.
Jerry Falk (Jason Biggs) è un giovane battutista che sogna di scrivere il romanzo della sua vita: una storia che parli, fondamentalmente, di quell'inspiegabile mistero che è la vita. Innamorato di Amanda (Christina Ricci), aspirante attrice, vive con lei una tormentata relazione.
Basta poco e a tratti sembra di trovarsi di nuovo dentro "Io e Annie" (non pochi sono i punti di contatto con il capolavoro alleniano). Sembra di vedere Woody da giovane. Ma questa volta il 68enne regista newyorkese decide di lasciare (quasi) tutta la scena ad un misurato e convincete Jason Biggs (reduce dalle disgustose torte di mele), regalandogli un personaggio che vive le sue stesse insicurezze, le sue stesse nevrosi. Un riuscito quanto impensabile alter-ego. E con questo simbolico "passaggio di consegne" pare volerci dire non solo che le nevrosi private sono forse le nevrosi di tutti, ma che sono le stesse ora come trent'anni fa. Allen, dal canto suo, si ritaglia un ruolo minore, ma non per questo secondario, quello del professore David Dobel: un contraltare perfetto (nella sua diversità) al giovane protagonista, nonché fulcro necessario allo sviluppo della vicenda. Prima di tutto perché, pur con la sua stravaganza ed i suoi modi grotteschi, aiuterà Jerry a trovare la sua strada, o forse solo a iniziare a cercarla e ricominciare: quanto suona ironico che sia proprio lui a consigliare a Jerry di trasferirsi a Hollywood! E soprattutto perché -attraverso l'anziano professore e le sue paranoie- Allen mostra il nuovo volto dell'America (forse, soprattutto della New York) post 11 Settembre, in costante stato di allarme. David Dobel è un ebreo ateo, oramai disilluso dalla vita, cinico e decisamente antisociale, ossessionato dalla Gestapo e dall'antisemitismo, che vede nemici ovunque, compra armi e kit di sopravvivenza nel costante timore di un'aggressione.
Se la messa in scena è classica, Allen riesce comunque a creare una maggior partecipazione dello spettatore, "bucando" lo schermo: Jerry, più volte, parla direttamente con noi e ci rende partecipi della storia, suoi diretti confidenti. Essenziali, come sempre, i movimenti di camera (campi, controcampi, piani medi, carrelli laterali), nitida e calda la fotografia di Darius Khondji. Il ritmo non è sempre perfetto, ma Allen convince soprattutto in fase di scrittura. Non solo, infatti, ci sono alcune delle sue battute migliori degli ultimi anni ("Secondo te, la fisica quantistica ha la risposta? Scusa, ma a che cosa mi può servire sapere che tempo e spazio siano esattamente la stessa cosa? Cioè, chiedo a uno ‘Che ora è?' e lui mi risponde ‘6 chilometri'? Ma che roba è?!"). Ma riesce anche a mettere in scena una galleria di personaggi riusciti e ben delineati, a cominciare dai due protagonisti fino a quelli di contorno: Paula, la suocera in crisi di mezza età (Stockard Channing), l'indifferente psicanalista e l'agente imbranato (Danny DeVito). E regala a Christina Ricci uno dei personaggi femminili più cinici della sua filmografia, quello della fidanzata di Jerry. "Ma tu mi ami?", chiede lui. "Ma che domanda! Solo perché mi ritraggo quando cerchi di toccarmi!", risponde secca lei. Amanda nel suo egoismo scarica su di lui frustrazioni e problemi: la carriera di attrice che non decolla, il cattivo rapporto con il padre e l'incapacità di costruirne uno solido con gli uomini, la madre invadente.
Dietro l'apparente tono leggero, travestita da (divertente) commedia, c'è l'ennesima conferma della fragilità dei rapporti umani. Rapporti a cui misteriosamente l'uomo si aggrappa, nonostante tutte le difficoltà e le incomprensioni ("Io e Annie"
docet), perché forse sono l'unica cosa che possa dare un senso a quell'inspiegabile mistero che è la vita. Inspiegabile, come tutto il resto.
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24/06/2008