L’Antigone ha ispirato nel tempo svariate riletture in chiave classica dell’attualità o di episodi storici anche drammatici, considerata l’innata capacità del testo sofocleo di legarsi ad analisi socio-politiche e giuridiche. In particolare, lo scontro tra Antigone e Creonte è stato elevato dalla filosofia del diritto a emblema della tensione tra giusnaturalismo e giuspositivismo, tra diritto naturale e diritto positivo. In maniera analoga – ma leggermente meno raffinata – la filosofia politica ha trovato nella tragedia di Antigone un precedente illustre per alimentare il dibattito sulla dicotomia potere-disobbedienza.
Come noto, l’opera di Sofocle narra della giovane Antigone, figlia del re di Tebe Edipo, e della sua disputa con il nuovo re, Creonte, che ha vietato per decreto la sepoltura di Polinice, fratello di Antigone. Polinice è infatti considerato indegno di ricevere gli onori funebri in quanto nemico della città, avendo mosso guerra contro di essa e contro Eteocle, l'altro fratello di Antigone, per il quale è stato invece celebrato il rito funerario. Antigone, nonostante l'editto del sovrano, seppellisce ugualmente il fratello, seguendo una legge divina che a suo modo di vedere va oltre la legge emanata da Creonte. Per tale motivo Antigone viene condannata a morte e imprigionata in una grotta. Creonte, ascoltando le profezie di Tiresia e le suppliche del coro, decide infine di liberarla, ma ormai è troppo tardi: Antigone si è uccisa e a causa di ciò si daranno la morte anche il figlio di Creonte, Emone (promesso sposo di Antigone), nonché, in una spirale di dolore scatenata dall’inflessibilità del tiranno tebano, anche la moglie di quest’ultimo, Euridice.
Lo scontro tra Antigone e Creonte è dunque lo scontro tra chi contesta la legge degli uomini e chi la difende, tra chi ritiene che vi siano norme che sovrastano il diritto imposto e chi invece crede che la legge scritta prevalga in ogni caso e vada rispettata anche quando eccessivamente severa o onerosa (secondo il noto adagio dura lex sed lex, che risale tuttavia al giurista romano di epoca imperiale Ulpiano – e non è un caso, peraltro, che l’appiglio giusnaturalista sia ascrivibile alla cultura della Grecia classica, mentre quello giuspositivista sia invece di matrice latina, a conferma del ruolo del pensiero romano, ben più di quello greco, nello sviluppo dei fondamenti e della scienza del diritto moderno).
Il ragionamento giuridico viene sicuramente snaturato – e in parte travisato – quando si riconduce l’agire di Antigone nell’ambito di una più generica disobbedienza civile, abbracciando una lettura semplicistica delle vicende, sebbene più concreta e immanente. Antigone, infatti, si limita a voler seppellire il fratello e a proclamare il primato delle leggi divine su quelle degli uomini, ma non vuole di certo sovvertire il potere temporale. In tal senso, Antigone è per certi versi un Cristo ante-litteram, che coltiva i propri ideali di una giustizia divina e/o morale (sebbene in un ambito estremamente specifico), mantenendo le distanze dalle questioni relative alla sovranità (come farà Cristo con il suo "Date a Cesare quel che è di Cesare").
Questa lunga introduzione è quanto mai necessaria per iniziare un discorso sull’eredità contemporanea della figura dell’eroina greca, che ha trovato in questo oltremodo stimolante "Antigone, How Dare We!" dell’esperto regista sloveno Jani Sever, presentato in anteprima italiana al trentaduesimo Trieste Film Festival (nella sezione fuori concorso Art & Sound), una nuova rappresentazione del testo sofocleo (decisamente post-moderna), tratta da un'opera di Slavoj Žižek in cui il filosofo sloveno si confronta con la figura dell’eroina tebana, cercando, come suo solito, di ancorarla all’attualità e, in particolare, alle tensioni dell’Europa di oggi.
In "The Triple Life of Antigone" (da cui è stato tratto lo spettacolo teatrale "La triplice vita di Antigone, un esercizio etico-politico") Žižek mette in scena due possibili varianti al finale tradizionale della tragedia. Una scelta volta a mettere sul piatto i dubbi che emergono raffrontando la concezione tradizionalistica della figura di Antigone alle attuali vicende europee. Dubbi che sono a loro modo dirompenti: siamo sicuri che l’eroina sofoclea dell’omonima tragedia sia un personaggio puro e innocente? È possibile che nel suo agire si celino aspetti quanto meno discutibili? E siamo sicuri che Creonte rappresenti il problema, il villain della situazione, per usare un linguaggio dei nostri tempi?
Per rappresentare la tesi contenuta nell’opera del filosofo sloveno, il regista divide questo "Antigone, How Dare We!" in tre linee narrative (o, per meglio dire, narrativo-documentaristiche).
La prima è quella che mette in scena la rappresentazione pseudo-teatrale del dramma sofocleo (nella versione rielaborata da Žižek), calandolo nella contemporaneità della Slovenia di oggi e adottando un forte approccio post-moderno, per effetto del quale, innanzitutto, il corpo insepolto di Polinice diventa quello di un uomo gettato nella scarpata di una trafficata superstrada di periferia. Antigone è invece raffigurata come una provocante, giovane donna in gonna corta e smalto nero alle unghie. Creonte è un dandy. Il coro, un trio di ragazzi in abiti urban-grunge. Con una recitazione teatrale e carica di enfasi, i personaggi portano avanti la rappresentazione girando prevalentemente en plein air, con elementi meta-cinematografici che irrompono a rivelare l’approccio decisamente sui generis scelto da Sever (dai microfoni – e relative aste – palesemente visibili nel profilmico, agli attori che chiedono conferma al regista della bontà della loro recitazione subito dopo le battute, senza la scontata cesura in fase di montaggio). È questa la parte che, probabilmente, desta le maggiori perplessità. E non tanto per queste scelte formali estreme, posticce e forzatamente post-moderne (che anzi possono essere lette come una via suggestiva e quasi inevitabile per adattare un mito classico alla contemporaneità). Bensì, proprio per la difficoltà nel far emergere per mezzo dello strumento recitativo quel messaggio che è invece così ben veicolato nelle altre due linee.
Una di esse, la seconda, è quella rappresentata dagli inserti di filmati e immagini di repertorio - in stile Blob - che portano lo spettatore a focalizzarsi su quello che è il tema principale dell’opera: l’Europa di oggi, le vicende storiche del Novecento che hanno portato all’unione politica ed economica del Vecchio Continente e le recenti minacce dei sovranisti e dei populisti (che vengono passati doverosamente in rassegna, da Orbán a Salvini, da Farage alla Le Pen). I video si concentrano, in particolare, sulle attività delle istituzioni europee, colte nei suoi momenti più significativi degli ultimi anni (tra cui le discussioni al Parlamento europeo sulla Brexit).
La terza linea narrativa-documentaristica è invece rappresentata dall’intervista a Žižek, che espone direttamente il suo pensiero consentendo di tirare le fila e dare sostegno alle altre due esperienze visive. Il filosofo sloveno, ormai superati i settant’anni, si mostra in video con gli evidenti postumi di un ictus, che gli ha paralizzato mezzo volto, e con i suoi proverbiali tic, sempre più accentuati. Ma la sua analisi è ancora lucidissima e per certi versi dirompente. Lo è, innanzitutto, nel paragonare Creonte alle istituzioni comunitarie e Antigone alla schiera di populisti, anti-immigrati e fondamentalisti che oggi minaccia l’Europa unita. Un passaggio a suo modo rivoluzionario, quest’ultimo, visto che connota in maniera estremamente negativa un personaggio – quello di Antigone, per l’appunto – finora mediamente rappresentato come una paladina dei diritti o come un baluardo morale contro i totalitarismi (da Brecht in particolare, nella sua versione in chiave antinazista dell’opera, rappresentata nell’immediato secondo dopoguerra). E l'Antigone di Žižek è un personaggio negativo in quanto riveste i caratteri paradigmatici del fondamentalista, non rinunciando al proprio ideale e anzi cercando di imporlo anche a costo dello scontro e della propria morte.
Ma v’è di più, e quel di più è nel primo termine di paragone, quello che accomuna Creonte alle istituzioni di Bruxelles. Perché Žižek – che, per chi non lo ricordasse, è un fiero comunista, con un passato di militanza – ammette innanzitutto come i maggiori esponenti del capitalismo contemporaneo siano da ricercare proprio tra quei paesi che, sulla carta, sono di derivazione comunista (il riferimento va, ovviamente, alla Cina). E fin qui nulla di dirompente (è il vecchio adagio dei comunisti di ieri che sono diventati i capitalisti di oggi). Ma oltre a dire ciò, il filosofo sloveno elogia tra le righe quell’Europa che, pur rappresentando uno dei principali attori globali di quel neo-liberismo che Žižek ha da sempre nel mirino, finisce quanto meno per mostrare il suo volto sociale di attenzione alle minoranze, di rispetto delle libertà individuali, di tutela dei diritti civili. Non è dato sapere se la maglietta che indossa Žižek durante l’intervista, con la scritta "I Would Prefer Not To", sia riferita proprio a questa sua parziale apertura verso l’establishment comunitario, quanto meno nella sua funzione di freno al populismo dilagante (o di male minore in un mondo alla deriva). Ma le circostanze fanno pensare che sia proprio così.
La tesi del filosofo sloveno potrebbe dunque apparire come una svolta clamorosa (e del resto è lo stesso Žižek ad affermare come l’evoluzione del contesto autorizzi a interpretare in maniera diversa gli antichi miti classici). E di una svolta chiaramente si tratta, se si considera che fino a qualche anno fa Žižek usava la figura di Antigone per paragonarla a Greta Thunberg, nel suo ruolo di solitaria eroina in lotta contro i poteri forti in nome di un’ideale moralmente elevato. Era quella una versione decisamente più tradizionalistica dell’Antigone, che contrasta nettamente con questo revirement. Ma si tratta, d’altra parte, di una svolta difficilmente criticabile, tenendo conto di quanto l’estrema polarizzazione dell’attuale contesto politico-sociale porti chiunque sia (momentaneamente) estraneo ai sistemi di potere (magari soltanto perché non ha ancora avuto la possibilità di accedervi) a ritenersi una vittima di poteri forti che minacciano ideali basati su una legge di natura moralmente giusta (o almeno più giusta delle leggi del momento).
Insomma, è un’impasse da cui non sembra esserci via d’uscita; è il relativismo della politica spinto agli estremi. Ma Žižek si ricorda, infine, dei suoi ideali più radicati (e radicali) e propone una soluzione decisamente provocatoria, affidata a uno dei due epiloghi alternativi dell’Antigone messi in scena nella rappresentazione pseudo-teatrale del film (anche in questo caso, in chiave decisamente post-moderna): quello in cui il coro sofocleo si trasforma in un tribunale popolare (con tanto di drappi in cui troneggiano falci e martelli) che condanna a morte sia Creonte che Antigone. Una semplificazione forse eccessiva, che strizza l’occhio a quel populismo che vuole biasimare, ma che del resto fa il paio con quanto rappresentato nell’altro finale alternativo, quello utopistico che vede Creonte liberare Antigone prima del suicidio, nel più classico (e surreale) dei lieto fine. Quasi come a dire che nel mondo dissennato di oggi, può valere tutto e il contrario di tutto.
cast:
Slavoj Zizek, Primoz Bezjak, Anja Novak
regia:
Jani Sever
titolo originale:
Antigona - kako si upamo!
distribuzione:
Taskovski Films
durata:
86'
produzione:
Sever & Sever, RTV Slovenija Dokumentarni program
sceneggiatura:
Milos Kalusek, Stojan Pelko, Jani Sever
fotografia:
Mitja Licen
scenografie:
Tina Kolenik, Lara Stefancic
montaggio:
Milos Kalusek
costumi:
Tina Kolenik