Si dice sovente che nella maggior parte dei casi il cinema non inventi più nulla e che quindi ciò che vediamo siano per lo più calchi di matrici già note. Se, stante questa realtà, la settima arte continua a proporci opere alle quali continuiamo a guardare con stupita ammirazione, possiamo allora aggiungere senza ombra di smentita che in tale contesto a fare la differenza è la maniera in cui questi film vengono fatti. Sotto questo profilo il nuovo film di Nahéma Ricci appena presentato alla Festa del cinema di Roma offre l’occasione di constatare quanto è stato appena detto. In effetti, come suggerisce il titolo, il lungometraggio in questione riprende l’omonima tragedia del grande drammaturgo greco, trasfigurando la Grecia di Sofocle nella Montreal dei nostri giorni e quindi aggiornando il canovaccio con i fatti e i temi più controversi e dibattuti della nostra epoca. Anche qui, tanto per cambiare, l’autrice canadese non si inventa nulla di nuovo, se è vero che nella trasfigurazione dei personaggi da ieri a oggi a prendere il posto del sodalizio originale è una famiglia di immigrati mediorientali costretta a espatriare in Canada dopo l’uccisione dei genitori, con ciò che ne consegue in termini di difficoltà d’integrazione nel mondo occidentale da parte dei nuovi arrivati. Manco a farlo apposta a capitalizzare le fortune narrative del film è uno degli schemi più utilizzati (e talvolta abusati) dal cinema contemporaneo, ovvero il rapporto di causa-effetto tra la mancata integrazione degli immigrati e gli episodi di radicalismo islamico a essa collegati. Di quest’ultimi sono accusati, in un rapido rovesciamento di fronte, i fratelli di Antigone, il maggiore dei quali viene ucciso dai colpi della polizia “assassina”, mentre il secondo scatena la pietra dello scandalo nel momento in cui Antigone, grazie a un’abile travestimento, lo fa evadere dal carcere sostituendosi a lui.
Dunque Antigone parte da una doppia riconoscibilità che, da una parte richiama l’aderenza della storia al contesto sociale, politico e culturale dei nostri giorni e alle sue dinamiche, dall’altra si rifà a una delle tragedie classiche più note dell’universo ellenico. Succede però che invece di enfatizzare l’appartenenza dei contenuti alle fonti appena citate, Antigone fa di tutto per rivendicare un’autonomia di sguardo che lavora contemporaneamente in due direzioni. Quella più interessante riguarda la forma e, in particolare, la decisione non scontata a questi livelli di trasgredire la filologia in maniera da riproporne di certo lo spirito di responsabilità della protagonista, evitando però di cadere nella declamazione del testo e della cronologia degli avvenimenti che, quando presenti, vengono mimetizzati all’interno di un plot centrato sull’ostinazione della protagonista nel tenere fede alla responsabilità assunta nei confronti della propria famiglia, ovvero alla risoluzione di addossarsi fino all’ultimo le colpe del propio atto di fronte alla legge. E poi il fatto di far coincidere la ribellione al sistema di Antigone e dei coetanei che a macchia d’olio decidono di sostenerne la causa con la soprastia mancanza di rispetto nei confronti del testo originale e della sua filologia. Ma il cuore del film, quello che alla fine fa palpitare lo spettatore coinvolgendolo anima e corpo nella vicenda della protagonista è l’appassionata arringa con cui Antigone giustifica il proprio operato. A portala avanti sono le continue astrazione dell’autrice, soprattutto quando si tratta di dare conto della reazione del mondo giovanile agli appelli della protagonista, risolti nel rap visivo di fotografie, video e animazione e sopratutto la struggente interpretazione di Nahéma Ricci, capace di trascendere la tecnica per offrirsi alla mdp nella volitiva disperazione di chi è disposta a sacrificarsi per la vita degli altri. Lo slogan “me lo ha detto il cuore e non la ragione” (cioè le regole dettate dall’autorità), pronunciato dalla ragazza è incarna nel migliore dei modi di quella presa di coscienza delle nuove generazioni in atto in ogni parte del mondo.
cast:
Hakim Brahimi, Rawad El-Zein, Nahéma Ricci
regia:
Sophie Deraspe
durata:
109'
produzione:
Association Coopérative des Productions Audio-Visuelles
montaggio:
Geoffrey Boulangé, Sophie Deraspe
musiche:
Jad Orphée Chami, Jean Massicotte