La summa di uno dei massimi narratori (e direttori di attori) del cinema contemporaneo che, in attesa di un film in costume sul pittore William Turner, scrive il capitolo definitivo sulla contemporaneità che conosce meglio, quella della piccola borghesia inglese formatasi all'Isola di Wight, transitata quasi indenne dalla contro-rivoluzione thatcheriana, ormai "destinata a passare alla storia" e a consegnare il testimone alla generazione successiva.
Quattro stagioni, riassunte in altrettanti weekend separati da dissolvenze in nero, di un anno qualunque di otto personaggi perfettamente caratterizzati indipendentemente dalla durata della loro presenza in scena, e osservati con distante oggettività entomologica. Mai Mike Leigh aveva optato per un parco tanto ampio, raramente aveva scritto - sempre di pugno suo - una sceneggiatura talmente perfetta da non far quasi credere a un metodo di lavoro basato in parte sull'improvvisazione.
Tutto ruota intorno alla coppia di protagonisti, Tom e Gerri (sic) e alla loro abitazione, un autentico refugium peccatorum per una galassia di disadattati (spiccano la "schizzata" Mary e il figlio Joe, "l'erede") che gravitano intorno agli unici personaggi apparentemente stabili, regolarmente sposati e impiegati (lei è psicologa, lui ingegnere geologo), disposti a trasferire nel privato il lavoro di lei per mettere in analisi un'intera società: del resto anche il prologo, con il cameo di un'Imelda Stanton in cura nel centro medico di Gerri, suggeriva lo svolgimento successivo.
Il regista, che torna sui temi ai lui cari, "la solitudine e la voglia di stare insieme, la famiglia e il rapporto tra genitori e figli, il rapporto tra il lavoro e la vita, il problema dell'età", offre uno spaccato di precisione cechoviana, impreziosito dall'insinuazione di un dubbio di fondo: che i due protagonisti, spugne assorbenti degli altrui dolori, ne ricavino un sottilissimo autocompiacimento.
Sensazione che trova, se vogliamo, un presagio meteorologico in un weekend primaverile particolarmente piovoso in apertura e, soprattutto, la deflagrazione ultima in un raggelato inverno senza neve che inizia, non a caso, lontano dal comfort del nido d'amore dei due coniugi e che chiude il film palesando le contraddizioni di una famiglia (allargata) tutt'altro che compatta, che ha allevato anche una disturbante e disturbata pecora nera.
Il tutto raccontato senza facili scorciatoie né convenzionali picchi drammatici, con una mirabile modulazione di concitazione e quiete (all'interno di una messinscena priva di azione), di sorrisi e di bronci, di tensioni e distensioni, di sguardi obliqui e complesse strategie relazionali. E una rara ambiguità che contribuisce a farne un magistrale capo d'opera, lontanissimo da mode effimere, ma al contrario estremamente classico.
cast:
Jim Broadbent, Lesley Manville, Ruth Sheen, Peter Wight
regia:
Mike Leigh
titolo originale:
Another Year
distribuzione:
Bim distribuzione
durata:
129'
produzione:
Film4, Focus Features, Thin Man Films
sceneggiatura:
Mike Leigh
fotografia:
Dick Pope
scenografie:
Simon Beresford
montaggio:
Jon Gregory
costumi:
Jacqueline Durran
musiche:
Gary Yershon