Si parte dall'alto, con i soldi della coca che pagano i manovali - al nero - che costruiscono i grattacieli di Milano, in un incipit così controllato che se ne apprezza il coraggio solo a ripensarci. Si finisce in basso, a discutere nei fondi delle case con le facciate mai terminate a cui si arriva guidando Audi e Mercedes. L'unica macchina non di lusso guidata nel film è il Pandino di Luciano, il maggiore dei tre fratelli. Mentre Luigi traffica in giro per il mondo (in perfetto spagnolo) e Rocco vive il sogno italiano riciclando i soldi e le apparenze a Milano, lui senza troppi clamori ha voltato le spalle alla ndrina di famiglia e vive ad Africo come agricoltore. Ma neanche lui può sfuggire al proprio destino, rappresentato dalle foto del padre ucciso appese in corridoio e incarnato dal figlio insofferente che vuole lasciare la terra ed entrare nel giro degli zii.
Dopo "Saimir" e "Il resto della notte", Munzi si conferma autore da tenere d'occhio con questo imperfetto ma intrigante "Anime nere". Nella messa in scena i principali punti deboli. Ad esempio, la palette cromatica verdeacqua-arancione è fastidiosa qui come è fastidiosa nei blockbuster hollywoodiani che ne hanno fatto la fortuna qualche anno fa, e non se ne riscontra un senso narrativo, e le riprese dei (frequenti) dialoghi sono un po' piatte. D'altro canto la regia riesce a riprodurre bene l'oppressione che il proprio destino di appartenenti alla ndrina esercita sui protagonisti attraverso ambientazioni soffocanti: nei salotti milanesi o calabresi i protagonisti sono sempre affogati negli oggetti, e in alternativa sono chiusi in macchina o in qualche sottosuolo scalcinato. Anche quando il punto di vista si alza per farci respirare non può che mostrarci l'Italia (Africo o Milano poca differenza) come un cantiere edilizio che si trascina per sempre.
Un altro punto a favore del film è la recitazione. A parte Barbara Bobulova che si ritrova un personaggio un po' stereotipato, abbiamo una serie di volti notevoli, da quello scolpito dal tempo di Aurora Quattrocchi a quello da schiaffi di Giuseppe Fumo. In particolare va menzionata la bravura con cui Peppino Mazzotta e Fabrizio Ferracane interpretano Rocco e Luigi, personaggi entrambi complessi ma animati da una profonda coerenza.
Il punto centrale del film è la coesistenza nella società criminale di elementi di capitalismo avanzato ("Nutrire il pianeta, energia per la vita") e di regole tribali (il matrimonio che sancisce l'unione dei clan). Munzi riesce a gestire questo contrasto senza cadere negli stereotipi o addirittura nel grottesco, ma rendendone bene la complessità e l'attualità. Manca forse il guizzo della regia che porta alla bellezza (o alle Meraviglie), ma personaggi solidi e affascinanti, trama serrata e sicura presa sullo stato delle cose presente fanno di "Anime nere" un film che merita di essere visto.
cast:
Aurora Quattrocchi, Fabrizio Ferracane, Barbora Bobulova, Peppino Mazzotta
regia:
Francesco Munzi
durata:
103'
sceneggiatura:
Gioacchino Criaco e Francesco Munzi
fotografia:
Vladan Radovic
montaggio:
Cristiano Travaglioli
Capre sgozzate e capitale globalizzato, legami di sangue e accordi di distribuzione, traffico di cocaina e Expo 2015. Un interessante punto di vista sull’Italia del 2014 attraverso la storia di tre fratelli e di una faida di ndrangheta.