recensione di Tommaso De Brabant
4.0/10
Dal bestseller di Dan Brown "Angeli e demoni", sfruttando il successo de "Il codice da Vinci" (che aveva poi filmato) dello stesso autore, Ron Howard dirige per la Sony Pictures questo kolossal, anticipato dallo scongiuramento di polemiche mai innescate.
La prima preoccupazione del cast "artistico" è infatti stata replicare ad accuse di anticattolicesimo... che non ci sono state. Gian Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano, ha sarcasticamente definito il film uno spot involontario per il turismo a Roma ed in effetti al di là della ricchezza artistica della location non si vede granché.
Il prof. Langdon viene chiamato dal Vaticano a risolvere degli enigmi: se non li risolverà in tempo, dei fantomatici seguaci della setta degli Illuminati faranno esplodere lo Stato Pontificio con l'antimateria rubata al CERN.
È un cinema, paradossalmente, povero: nonostante la ricchezza di mezzi e cast (nel quale figurano Pierfrancesco Favino, Ewan McGregor e Stellan Skarsgard) la povertà d'idee è palese. Il sicario non è altri che un altro Silas (si veda "Il codice da Vinci"), senza però stavolta sprecarsi e dargli un passato; nel precedente capitolo il citato Silas era uno sventurato raccolto da un potente religioso, qui il camerlengo proviene dalla stessa vicenda. È un cinema misero per l'umanità che rappresenta: figure appena accennate, senza psicologia e mentalità. In un altro blockbuster dal rapporto controverso con la religione, "L'esorcista", le figure erano perlomeno più complesse; qui neanche il pur attivissimo camerlengo è inquietante quanto il comunque salvifico padre Lancaster Merrin interpretato da Max von Sydow nel 1973 e nel 77 (e nel 2004 da Skarsgard).
Un cinema misero, che si regge sui soldi anziché sulle idee: quelli spesi ed esibiti e quelli da guadagnare pubblicizzando, anziché il film stesso, le automobili guidate dai gendarmi nel film.
Un cinema ignorante, retto sì dalla maestosa - ma meramente nozionistica - cultura di Dan Brown ma non da pensieri (da ciò deriva il divario tra "Il codice da Vinci" e il suo elevato modello, "Il pendolo di Foucault" di Umberto Eco), fatto per un pubblico ignorante pronto a farsi impressionare dalle dotte osservazioni del prof. Langdon e da qualche sequenza al computer.
Un cinema subdolo, che spaccia per coraggiose delle "denunce" non troppo rischiose: la Brown & Howard s.p.a. lanciava nel precendente film delle accuse (ma più che tali, segnali d'antipatia) all'Opus Dei, qui accusa d'oscurantismo e ignoranza la Chiesa romana, ma per accusare qualcuno di ciò bisognerebbe andare oltre qualche smorto sberleffo e del banale nozionismo.
Dan Brown e Ron Howard spacciano per vere teorie che propongono con una storia costruita su palesi bugie (l'impossibilità dell'uso dell'antimateria, la gendarmeria svizzera che ha mezzi paragonabili a quelli del Pentagono) e pretendono che ci si creda... ottenendo ciò.
C'è un accenno di satira quando degli inviati di telegiornali danno per favorito all'elezione papale un candidato del proprio paese; chi è informato potrebbe leggere nell'auspicio di santificazione per il camerlengo un'allusione alla richiesta popolare di santificazione per un Papa che non considerò malvagio il massacro di dissidenti politici in Cile.
È infatti un cinema ambiguo: se ne possono trarre le conclusioni che si vogliono perché il film non prende posizioni. Nel finale mostra i cardinali buoni, ma non smentisce la cattiveria del Vaticano su cui s'è insistito in tutta l'opera. Cinema relativista: anti-cristiano in quanto tale, non per le accuse che (non) lancia.
Un film il cui unico merito è mantenere un poco di suspence, nonostante una fattura convenzionale, rumorosa, baracconesca.
04/06/2009