Chissà perché, ma il debutto di Alix Delaporte rimanda al cinema di fratelli Dardenne. Sarà che la protagonista Angèle (l'incantevole Clotilde Hesme) ha i modi da fare e la capigliatura di una
Lorna, e un suocero che fa il falegname e che ha perso il figlio, esattamente come Olivier Gourmet nel
film omonimo, anche se l'origine ultima del personaggio risale evidentemente ai Vangeli, saranno più ragionevolmente le vicende di due disadattati, ognuno a modo suo, e un ambientazione in una grigia e fredda Normandia non così diversa dalla Vallonia, il Belgio francofono degli autori di "Rosetta", fatto sta che un film che ricerca uno stile elegiaco quasi antipodico alla frenesia della macchina da presa dardenniana trova molti punti di contatto con quel tipo di cinema, che ha generato innumerevoli proseliti da qualche anno a questa parte.
"Angèle e Tony" ha per presupposto un'impostazione vista innumerevoli volte su grande schermo. Una donna in libertà provvisoria, che ha ucciso, lei sostiene con colpa e non con dolo, suo marito, e che è stata pertanto allontanata da suo figlio, accudito dai nonni paterni, una donna insomma totalmente ai margini della società, vuol ricominciare da capo, rifarsi una vita, ottenere la scarcerazione definitiva, magari riavere il piccolo Yohan con sé. Con il metodo più spassionato e distaccato possibile, un annuncio matrimoniale, incontra un uomo con cui in teoria non ha nulla da spartire, un pescatore integerrimo, salvo le proteste per le condizioni i lavoro che lo portano a scontrarsi con le forze dell'ordine; ma la testa calda sembra più quella di suo fratello, e la regista trascura alquanto tale linea narrativa per cui ne sapremo ben poco. Ciò che invece sappiamo è che Tony (il credibile Grégory Gadebois) non è più giovanissimo e ha da poco perso suo padre. Le nozze insomma sarebbero la svolta. Sia per lui, sia per lei.
I primi passi della strana coppia, le difficoltà nell'approcciarsi di due persone incompatibili, le diffidenze della famiglia di Tony e gli imbarazzi negli sguardi fuggevoli di Angèle segnano la prima e più risolta parte di una pellicola che perde mordente quando si concentra sullo sviluppo della trama, laddove l'incedere della narrazione interessa molto meno che la capacità di creare umori, di ricreare un ambiente costellato da volti azzeccati, di cercare costantemente situazioni poetiche, qualche volta sfiorandole. Ancora una volta Sacher sfida l'oligopolio nella tipologia di film normalmente distribuiti offrendo la possibilità di una visione alternativa, anche se va detto che di opere come questa se non migliori è pieno il mondo, e che anzi la mancanza di radicalità del film della Delaporte offrirà ai critici, su un piatto d'argento, la chance di liquidare "Angèle e Tony" collocandolo nell'abusata categoria del "film da festival".
06/05/2011