Non sempre le sfide hanno le proporzioni epiche di una battaglia o il volto di enormi creature nascoste nella giungla su di un'isola deserta. Spesso una sfida è, semplicemente, saper tornare alle proprie origini, conservandone la genuinità e lo spirito, come a dimostrare che milioni di dollari di incasso e una statuetta dorata sono solo una parte di una carriera.
Dopo "The Frighteners" (datato 1996) Peter Jackson ha letteralmente dedicato anima e corpo a due progetti difficili ed ambiziosi e del tutto lontani dai suoi lavori precedenti, riuscendo a portare sul grande schermo la trilogia dell'Anello ed il remake di King Kong. A distanza di quattro anni ed in attesa di immergersi nuovamente nel mondo tolkeniano, il regista neozelandese ritorna nelle sale ma con un film al tempo stesso più "umano" e dalle tematiche più complesse, tanto rischioso quanto lo erano stati i precedenti blockbuster.
I diritti per l'adattamento cinematografico dell'omonimo best-seller di Alice Sebold (2002) erano già stati acquistati da una casa inglese nel 2000, quando il romanzo era ancora in fase di scrittura, ma solo nel 2005 il progetto finì tra le irrequiete mani di Peter Jackson. Scritto come sempre dal regista e dalla moglie Fran Walsh, con la collaborazione, oramai consolidata, di Philippa Boyens, "Amabili resti" racconta la storia della quattordicenne Susie Salmon (come il pesce), timida studentessa appassionata di fotografia, che una sera di inizio Dicembre viene violentata e barbaramente uccisa dal suo vicino di casa George Harvey. Ma dopo la morte, l'anima di Susie rimarrà sospesa in un limbo, da cui veglia la sua famiglia ed il suo insospettabile assassino.
Lontano dagli sforzi produttivi degli anni precedenti, "Amabili resti" abbandona scontri tra elfi e creature mostruose e si concentra nel cuore della provincia americana dei primi anni 70, lungo la strada dove vivono Susie ed il suo assassino o nello spoglio campo di grano dove si consuma il terribile omicidio. Ed in quella "Terra di Mezzo" sospesa tra cielo e terra, un non più e un non ancora, da dove la giovane protagonista (la sorprendente Saoirse Ronan), si divide tra la sete di vendetta verso il suo assassino che, insospettato, gira a piede libero, ed il desiderio di aiutare la sua famiglia a superare l'enorme perdita. Così Jackson, sapiente miscelatore di generi, si arrischia ad intrecciare un (complesso) tema come l'elaborazione di un lutto incomprensibile con i ritmi del thriller, che si perde tra i connotati del film paranormale e quelli del dramma familiare. Il film corre lungo due realtà parallele, solo apparentemente distanti: l'universo onirico in cui si ritrova imprigionato lo spirito senza pace di Susie ed il mondo reale, abitato dal vuoto della sua famiglia (misurati Mark Wahlberg e Rachel Weisz, troppo sopra le righe Susan Sarandon) e le pulsioni, a stento represse in un'apatica quotidianità, del suo assassino (uno straordinario e quasi irriconoscibile Stanley Tucci).
Ma qualcosa non funziona in questo complesso ingranaggio ricco di spunti. Nel limbo ultraterreno, curatissimo nei dettagli, con la solita maniacale precisione di Jackson e "dipinto" dalla fotografia fin troppo satura di Andrew Lesnie (a tratti coloratissima, a tratti cupa), non mancano le suggestioni visive: i modelli sotto vuoto delle barche in frantumi sugli scogli (nella deriva delle certezze dei sentimenti), l'albero le cui foglie si trasformano in uno scenografico stormo di uccelli. Ma la sua chiara atmosfera new-age, con le musiche di Brian Eno a far da supporto, abbonda di fin troppo facili metafore di vita e vitalità (come una rosa enorme che sboccia sotto un manto di ghiaccio) e magari sbalordisce con i suoi colori e le sue luci, ma risulta spesso stucchevole. Nella seconda parte della pellicola, quando la componente thrilling prende piede, il ritmo cresce e vira su una strada più decisa, portando la storia alla scena più riuscita, l'intrusione nella casa del killer da parte della sorella di Susie, sempre più insospettita dal misterioso vicino. Un capolavoro di tensione, in un perfetto mix tra sonoro, ritmo e montaggio, grazie anche all'utilizzo di particolari micro-camere che regalano degli inquietanti close-up di Harvey. Quando poi il finale sembrava far presagire una svolta coraggiosa, nell'emozionante scena ambientata nella cava dove finalmente prende corpo la decisione di Susie, arriva il deus ex machina a mettere apposto ogni cosa. E volendo suonare come chiusura beffarda, lascia (almeno per chi scrive), un certo senso di indefinita insoddisfazione.
"Amabili resti", mezzo flop negli Stati Uniti, rimane un'opera che certamente pulsa di suggestioni, ma funziona di più quando si affida ad una messa in scena artigianale che non quando abusa di sfavillanti effetti digitali e soprattutto che perde il polso delle emozioni proprio quando dovrebbe alimentarle e farle crescere.
28/01/2010