Per una volta è forse giusto chiamare in causa lo sport preferito dagli italiani, il calcio, per introdurre un film come "Almanya - La mia famiglia va in Germania". Si potrebbe prendere ad esempio più di una nazionale di calcio europea (vedi la Francia), ma, dato il legame con la pellicola affrontata è bene concentrarsi sulla Germania: quanti sono gli "stranieri" che giocano per colori di una bandiera che non corrisponde al loro luogo di nascita o comunque con genitori nati altrove? Polacchi, nigeriani, tunisini, spagnoli, brasiliani, sudafricani, turchi. La domanda che ci pone il film, che più volte compare nei dialoghi è proprio questa: "siamo tedeschi o turchi"? Se lo chiedono gli anziani, provenienti dal territorio turco che, sebbene abbiano vissuto buona parte della propria vita altrove, hanno voluto (o non sono riusciti ad accantonare?) mantenere ricordi e tradizioni della loro terra d'origine. E se lo chiedono i più giovani, ragazzi e bambini nati in Germania, con sangue turco che scorre nelle vene, ma pur vicini, lontanissimi da una sfera nazional-popolare a loro praticamente ignota. Sarà compito dei genitori e dei nonni lasciare nel bagaglio intimo di figli e nipoti una cultura a loro estranea? Oppure è consigliabile donare loro una libertà che per forza di cose può comunque sfociare nel campo dell'identità nascosta?
Non si può certo dire che la regista non sappia di cosa stia parlando. 38 anni, nata a Dortmund con un nome che d'altra parte non tradisce le sue origini, Yasemin Samdereli, debutta qui nel lungometraggio per il grande schermo e scrive la sceneggiatura con la sua sorella Nesrin, di sei anni più giovane. Il risultato in patria è un successo non previsto, o comunque non a certe cifre: 2 milioni di spettatori, 15 milioni di incasso al box office.
L'autrice ci pone e pone a se stessa tre domande: perché ci sono tanti immigrati turchi in Germania, come tutto è cominciato e cosa significa oggigiorno essere "stranieri".
La regista si serve di aneddoti palesemente autobiografici, come il desiderio dei più piccoli di festeggiare il Natale, invidiosi dei regali, dell'albero e dei pranzi che sfoggiavano i loro coetanei, e li alterna a questioni impegnate come quelle riguardanti il ruolo dello straniero per lo sviluppo socio-economico (si parla dunque di classi operaie) della Germania. Significativa la frase storica dello scrittore Max Frisch: "chiedevamo dei lavoratori e sono arrivata delle persone". Che chiude (e al contempo apre al futuro) l'epopea dei suoi protagonisti.
Appurato che l'Elia Kazan più autobiografico, quello di "Il ribelle dell'Anatolia" ("America, America", 1963) resta un modello assolutamente irraggiungibile, i riferimenti della Samdereli sono comunque numerosi e piuttosto evidenti: il britannico "East is East" (su una famiglia di pakistani in Inghilterra), Fatih Akin (il più importante regista turco-tedesco del cinema contemporaneo), alcune scorribande familiari di Emir Kusturica, Jean-Pierre Jeunet (soprattutto nella sequenza del sogno a base di Coca-Cola).
"Almanya" è un altro film sul tema dell'imigrazione, sincero ma impersonale, con flashback e bozzetti sull'orlo della cartolina caricaturale, esile ma gradevole, scanzonato e con annessa lacrimuccia finale, pur sostanzialmente non fasulla.
cast:
Vedat Erincin, Fahri Ogün Yardim, Lilay Huser, Demet Gül, Aylin Tezel, Denis Moschitto, Petra Schmidt-Schaller, Rafael Koussouris, Aliya Artuc, Kaan Aydogdu
regia:
Yasemin Samderel
titolo originale:
Almanya – Willkommen in Deutschland
distribuzione:
Teodora Film
durata:
97'
produzione:
Roxy Film
sceneggiatura:
Yasemin Samdereli, Nesrin Samdereli
fotografia:
The Chau Ngo
scenografie:
Alexander Manasse
montaggio:
Andrea Mertens
costumi:
Steffi Bruhn
musiche:
Gerd Baumann