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8.0/10

Il lungometraggio d’esordio di Charlotte Welles, regista scozzese vincitrice al Festival di Cannes 2022 del Premio della Giuria French Touch, è un’opera autobiografica, ispirata ai ricordi di una vacanza estiva della regista con il padre. Si tratta di un piccolo capolavoro, basato sul tentativo di ricostruire un passato doloroso - il rapporto tra una ragazzina di undici anni e Calum, la figura paterna segnata da una forte disperazione interiore – al fine di conferirgli un senso attraverso la memoria.
Sophie, protagonista del film e alter-ego della regista, a trent’anni, cerca di capire cosa sia accaduto al padre avvalorandosi dei ricordi e dei filmati familiari relativi a una vacanza avvenuta quando ne aveva undici. Il dolore e la sofferenza di Calum sono impossibili da definire e da cogliere nella loro pienezza da parte di una ragazzina che si sta affacciando alla pubertà. È quindi necessaria una riflessione postuma in età adulta, resa possibile dalla compenetrazione di sguardo e ricordo che, non casualmente, sono gli elementi attraverso cui viene composto il film: i found footage realizzati con una videocamera analogica degli anni Novanta e le riprese cinematografiche volte a raccontare i ricordi di Sophie, cioè i momenti della vacanza che hanno significato maggiormente per la protagonista, gli avvenimenti apparentemente insignificanti ma più importanti a livello emozionale.

Lo sguardo e il ricordo sono gli strumenti di indagine della realtà, intesa in questo contesto come bisogno universale di ricostruire il passato al fine di conferire un senso alla memoria (ovvero, in ultima analisi, di rappresentarla), e, al contempo, i mezzi attraverso cui ancorare il passato (Sophie bambina viene spesso inquadrata mentre filma, osserva e spia) al presente (al termine del film vediamo la protagonista adulta mentre guarda il video fatto in vacanza vent’anni prima), in modo da rappresentare l’andamento ondivago, associativo della memoria e i meccanismi di attribuzione di senso a quest’ultima.
Lo sguardo, il gesto di guardare, è l’atto maggiormente raffigurato in questo lungometraggio, tanto da divenirne la figura filmica principale. Tuttavia, la difficoltà di dare un senso al proprio bagaglio di ricordi, soprattutto se si tratta delle esperienze risalenti all’infanzia e all’adolescenza, conferisce una natura inevitabilmente problematica all’attività scopica. Sophie undicenne riprende e osserva se stessa allo specchio, in seguito spia dal buco della serratura alcune ragazze più grandi di lei, inoltre la vediamo osservare con insistenza il padre e i suoi coetanei, ma la sua vista viene spesso ostacolata da oggetti che si frappongono tra i suoi occhi e ciò che guarda, ad esempio una finestra o una ringhiera. Questo sguardo che incespica, tanto da risultare doloroso e difficile, viene sottolineato dalla costruzione della messa in scena: prevalgono le inquadrature fisse con primi piani o dettagli, attaccate al personaggio e soprattutto a una parte di esso, come la testa e gli occhi, in modo da escludere il fuori campo, ovvero ciò verso cui è diretta l’osservazione della piccola Sophie. In particolare, questa difficoltà (e i relativi espedienti di messa in scena appena elencati) si fanno numerosi e frequenti nei momenti dedicati alla rappresentazione del rapporto di vicinanza-lontananza che lega il padre a sua figlia: quando si trovano nella stessa inquadratura sono spesso separati da un oggetto diegetico, come un muro o una ringhiera, che ne impedisce il contatto visivo reciproco. Inoltre, varie volte il corpo di Calum viene lacerato e ricomposto innaturalmente da alcuni piani curiosamente troppo ravvicinati, come quando padre e figlia si siedono al tavolino di un bar per consumare un caffè e un gelato: per un attimo vediamo, attraverso gli occhi di Sophie, il busto di Calum ad esclusione della testa, tagliata dal bordo dell’inquadratura, che viene invece riflessa dalla superficie del tavolo.

Il padre si sforza di presentarsi alla bambina in modo positivo, ma è ovvio che la sua personalità nasconda qualcosa di oscuro: il male che Calum si porta dentro emerge soprattutto nel fuori campo, nel momento in cui Charlotte Welles inserisce delle riprese che si pongono oltre la percezione di Sophie bambina, a testimoniare la ricerca di senso e l’attività della memoria che compenetra passato e presente (come quando lo si vede di schiena, nudo e seduto sul letto mentre piange a dirotto, oppure in una delle prime scene del film, quando la bambina dorme e la regista zooma su Calum che fuma una sigaretta sul balcone mentre balla).
I found footage costituiscono le tracce materiali del ricordo del viaggio, le testimonianze di ciò che è accaduto. Una delle scene maggiormente interessanti di “Aftersun” accosta l’attività scopica che permea l’intero lungometraggio alla realizzazione di questi filmini familiari, testimoniando la profonda interdipendenza che intercorre tra essi e, contemporaneamente, manifestando pienamente la problematicità dell’atto di vedere. Si tratta di due piani sequenza interni alla camera d’albergo: all’inizio Sophie gioca con dei vestiti mentre la sua immagine viene riflessa contemporaneamente dallo specchio e dal vetro dello schermo spento della televisione davanti ai quali si trova; poi la bambina e il padre giocano con la videocamera e la loro immagine viene ripresa dalla macchina da presa posizionata di fronte allo stesso specchio (davanti al quale si muovono i due protagonisti) e alla stessa tv (ora accesa per mostrare le immagini riprese in tempo diretto dalla videocamera) della scena precedente. Si noti in particolare lo specchio, che alla fine di questa scena riflette metà del viso del padre. È una visione faticosa e franta, addirittura triplicata in queste scene, a significare la difficoltà e la fragilità dell’atto scopico.

“Aftersun” si dipana attraverso una foschia di ricordo e immaginazione, facendo propri gli strumenti della memoria e dello sguardo trattati con una forza e, al contempo, una delicatezza quasi incredibili, riuscendo a creare una forma filmica intesa come materiale vivo e pulsante, poiché in grado di donare senso al passato e, dunque, di illuminare di nuovo significato la propria individualità. Questo piccolo capolavoro si sofferma anche sul rapporto tra le immagini e la realtà, insieme alle potenzialità e alle difficoltà che soggiacciono al tentativo di rappresentare la seconda tramite le prime: l’impossibilità del reale di essere raccontato e svelato da ciò che si vede e si filma ma, al contempo, l’assoluta necessità dello sguardo in quanto depositario primo del vero.


29/01/2023

Cast e credits

cast:
Paul Mescal, Frankie Corio, Celia Rowlson-Hall


regia:
Charlotte Wells


titolo originale:
Aftersun


distribuzione:
MUBI


durata:
101'


produzione:
BBC Films, British Film Institute


sceneggiatura:
Charlotte Wells


fotografia:
Gregory Oke


scenografie:
Billur Turan


montaggio:
Blair McClendon


costumi:
Frank Gallacher


musiche:
Oliver Coates


Trama

Una volta adulta, Sophie riflette sulla figura contraddittoria di suo padre, focalizzandosi sul viaggio fatto insieme in Turchia quando lei aveva undici anni.