Sullo sfondo di una Piombino industriale, due preadolescenti in crisi puberale incespicano tra confusione ormonale e speranza nel futuro. Questo è "Acciaio", il film di Stefano Mordini, tratto dal bestseller di Silvia Avallone, caso editoriale del 2010. Quando il romanzo giunse tra gli scaffali delle librerie fu accolto dai toni aspri dei piombinesi che poco si riconoscevano nel racconto scabroso di amori saffici e operai dediti alla cocaina e agli strip club; ma il successo fu a macchia d'olio. La trasposizione cinematografica era quasi scontata. Stefano Mordini, già documentarista e autore del film "Provincia meccanica" che esplorava disagi e degradi della vita operaia come un novello e italico Ken Loach, ha raccolto la sfida e fatto di "Acciaio" opera filmica; firmandone regia e sceneggiatura (con Giulia Calenda e la supervisione della stessa Avallone).
L'acciaieria Lucchini - realmente esistente ed ex ILVA - aliena lavoratori che non hanno altro futuro se non la fabbrica; Anna e Francesca sono due giovanissime che sperimentano la crescita nel contesto degradato e involvente dei palazzoni popolari della fatiscente Via Stalingrado. Tutto sembra così vicino alla pur lontana realtà tarantina coeva da radicare il realismo del contesto estrinsecato, ampliandone l'interesse. Grazie anche alla fotografia sgranata dello scomparso Marco Onorato - fedele direttore della fotografia delle opere di Matteo Garrone fin dagli albori documentaristici - che de-storicizza la narrazione allargandone la prospettiva. Il risultato finale del film, però, manca di tutti i crismi. A partire dalla caratterizzazione di personaggi abbozzati malamente e finanche inutili (il padre e la ex fidanzata di Alessio): non un gesto, un dettaglio della cinepresa, una parola conferisce loro una dimensione meno sterile. Il peregrinare incerto delle due ragazzine tra amori lesbo-etero-prostituzione si giustappone al motivo della fabbrica, che se in potenza poteva polarizzare la verve espressiva del film, pretende di pulsare attraverso qualche immagine della magmatica incandescenza dell'altoforno o dialoghi scarni e invero banali.
La classe operaia, sebbene a partire dagli anni 60 abbia avuto un ruolo da protagonista nei corsi e ricorsi della storia, così non è stato nel cinema e sono rare le pellicole che l'hanno raccontata ("La classe operaia va in paradiso", "I compagni") riuscendo a trasporre sia il determinismo di esistenze svuotate che i primi moti di ribellione al dispotismo del padrone. Il teen movie, al contrario, fin dagli anni 80 ha vissuto una continua proliferazione. Due anime, l'una sociale e l'altra sentimental-sensuale si incontrano in "Acciaio" come le panoramiche sulla fabbrica e la città industriale con i primi i piani insistiti sui volti e corpi.
Il regista decide di lavorare di sottrazione ma senza riuscire a trovare un canale comunicativo alternativo attraverso cui innalzare la sua opera sopra la soglia della superficialità. Limite, questo, in cui cadono quegli autori che decidono di utilizzare un registro arduo da mettere in scena senza saperlo maneggiare con la dovuta cautela. Come si fa con l'acciaio ardente.
cast:
Michele Riondino, Vittoria Puccini, Anna Bellezza, Matilde Giannini, Francesco Turbanti, Luca Guastini, Monica Brachini, Massimo Popolizio
regia:
Stefano Mordini
distribuzione:
Bolero Film
durata:
95'
produzione:
Rai Cinema, Palomar, Toscana Film Commission, Carlo Degli Esposti
sceneggiatura:
Giulia Calenda, Stefano Mordini
fotografia:
Marco Onorato
scenografie:
Luciano Ricceri
montaggio:
Jacopo Quadri, Marco Spolentini
costumi:
Ursula Patzak
Piombino, costa toscana. Anna e Francesca sono due amiche quattordicenni che vivono i primi turbamenti dell’adolescenza e vagheggiano un futuro lontano dal quartiere popolare in cui abitano, magari all’isola d’Elba, paradiso irraggiungibile oltre una lingua di mare. Sullo sfondo la presenza tangibile ed irrevocabile dell’acciaieria Lucchini, presso cui lavora Alessio, fratello di Anna, costretto ad affrontare un’ex fidanzata, divenuta dirigente della fabbrica.