Il circolo degli allievi di Sokurov ha prodotto ultimamente quello che è già più di una promessa - il cabardo Kantemir Balagov, che con "Tesnota" si è fatto notare a livello mondiale - ed ora questo ragazzo di Zaporižžja, Ucraina, Alexander Zolotukhin, classe 1988, che per il suo primo lungometraggio sceglie un soggetto decisamente poco battuto dal cinema degli ultimi anni (con l’eccezione che conferma la regola del "1917" di Sam Mendes): la Prima guerra mondiale. La storia del giovanissimo soldato russo che giunge al fronte da artigliere, attratto da quelle medaglie che i commilitoni più anziani portano spavaldi ben appuntate sul petto, si intreccia, fin dalle prime scene, con le immagini di un’orchestra, al giorno d’oggi, intenta a provare e riprovare alcuni brani di musica sinfonica. Il montaggio (parallelo) accosta questi due momenti distanti un secolo in maniera apparentemente arbitraria, almeno ad un primo sguardo.
L’arrivo in trincea, nell’atmosfera di quiete che precede la tempesta, è l’occasione per osservare Aleksej - questo il nome del ragazzo - spaesato e intimorito al cospetto dei compagni d’arme più esperti. Il primo bombardamento da parte della artiglieria nemica sarà il battesimo del fuoco, letterale, per il giovane soldato, che rimarrà cieco a causa dei gas utilizzati dai tedeschi prima dell’assalto alla trincea.
I primi minuti di "A Russian Youth" danno già l’idea di quali siano i riferimenti principali cui Zolotukhin ha deciso di votarsi per il suo primo lungometraggio. "L’infanzia di Ivan" di Tarkovskij. "Arsenale" del suo connazionale Dovženko, cui non si può non pensare durante la sequenza dell’attacco con il gas, nella quale i soldati indossano alla meglio maschere di fortuna, e per quelle risate irrefrenabili in un contesto drammatico, in questo caso dovute al fatto che il giovane soffre il solletico. Ma anche - e soprattutto - il "Va’ e vedi" di Elem Klimov, per i contenuti e per la forma, un’immagine in 4:3 molto sgranata, con una dominante di colori di terra (il verde, il marrone). Ma la fotografia è protagonista di quest’opera sui generis anche per effetto della scelta, per certi versi ardita, dell’utilizzo creativo della messa a fuoco, che restituisce molte delle immagini d’epoca con un effetto miniatura (concettualmente distante dal solo visivamente analogo "Benvenuti a Marwen" di Zemeckis) che sembra voler porre in evidenza la lontananza – fisica e ideologica – dello spettatore da quegli istanti. Una fotografia sofferta e sofferente, come di immagini di repertorio che sembrano subire esse stesse le nefandezze di quelle scene che documentano. Come se la pellicola assorbisse non soltanto la luce, ma pure le atrocità della guerra.
Il montaggio parallelo, che inizialmente sembrava un mero pretesto per accostare due epoche molto distanti nel tempo, nel più classico degli intrecci tra passato e presente, diventa, col passare dei minuti, un altro (originalissimo) strumento creativo, quando le immagini del presente e di quel lontano passato si intersecano con rimandi fittizi, quasi come se i musicanti di oggi diventassero occasionalmente osservatori distratti di quanto accadeva allora. E quell’orchestra interagisce con le immagini del passato anche attraverso il montaggio sonoro, non soltanto per il tramite dei brani che passano in sottofondo nelle scene che vedono protagonista il giovane Aleksej (tra cui il meraviglioso Piano Concerto n. 3 di Rachmaninoff), ma anche con le esortazioni del direttore d’orchestra, che tenta di ottenere il meglio dai suoi musicisti durante le prove.
Il tema della perdita dell’innocenza si mescola a reminiscenze cristologiche, con il sacrificio di Aleksej (un ottimo Vladimir Korolev) che ha il vago sapore del martirio, dell’ennesima giovinezza immolata quale tributo alla brutalità della guerra. Ma Aleksej è anche un San Francesco steampunk, quando ascolta la natura con quel bizzarro strumento con cui dovrebbe intercettare l’arrivo degli aerei tedeschi.
Un esordio di assoluto interesse, pur racchiuso in un minutaggio limitato (poco più di un’ora e dieci) che non lascia spazio a grosse velleità o ad ambizioni di epicità. Eppure, il privilegio del battesimo in un palcoscenico importante quale quello della Berlinale, il patrocinio di Sokurov e l’indubbia cifra autoriale che emerge da quest’opera prima, lasciano intendere che questo giovane regista ucraino farà sicuramente parlare di sé in futuro.
cast:
Sergey Goncharenko, Filipp Dyachkov, Mikhail Buturlov, Vladimir Korolev
regia:
Alexander Zolotukhin
titolo originale:
Malchik Russkiy
distribuzione:
Mubi
durata:
72'
produzione:
Example of Intonation, Lenfilm Studio
sceneggiatura:
Alexander Zolotukhin
fotografia:
Ayrat Yamilov
scenografie:
Elena Zhukova
montaggio:
Tatyana Kuzmichyova
costumi:
Olga Bakhareva
musiche:
Sergei Rachmaninoff
Prima guerra mondiale. Un giovane soldato russo arriva al fronte, attratto dalla possibilità di gloria. Al primo scontro, tuttavia, rimane cieco a causa dei gas utilizzati dall’esercito tedesco. All’ospedale da campo un ufficiale decide di prenderlo con sé e impiegarlo per ascoltare il cielo al fine di intercettare eventuali aerei nemici in avvicinamento.