Il terzo lungometraggio di Jonas Carpignano è il suo terzo film ambientato in Calabria, nello stesso microcosmo, prossimo a Gioia Tauro. Un regista dal destino strano, Carpignano: nato e cresciuto fra New York e Roma, ha scelto la Calabria come terra d’elezione. Un tessuto sociale verace in cui è endemica la connessione con la malavita e la ‘ndrangheta. “A Chiara” è un racconto di formazione dalla struttura in fondo molto classica, in cui la protagonista è un’eroina che per trovare la propria strada è costretta a fronteggiare, nel proprio padre (amatissimo), il “drago” da annullare, per rinascere a nuova vita, individuare la propria vera identità, libera dalle spire che l’avvinghiavano a una realtà soffocante, di cui era prigioniera inconsapevole.
I precedenti film di Carpignano (“Mediterranea”, 2015; “A Ciambra”, 2017) sono stati accostati al cosiddetto cinema del reale. Come molti altri cineasti italiani emersi nei primi due decenni del XXI secolo, Carpignano predilige attori non professionisti, contesti reali in cui trascorrere tendenzialmente lungo tempo insieme a coloro che diverranno personaggi, in un processo spontaneo in cui la sceneggiatura non viene prima, ma si sviluppa insieme o dopo le riprese. Altro tratto comune di questo cinema è la tendenza alla contemplazione a scapito della drammaturgia. Ebbene, con “A Chiara” Carpignano prende in parte le distanze da questa tipologia di cinema dalla narrazione debole, e segue una strada diversa. Lo fa, sembrerebbe, in corso d’opera. “A Chiara” presenta infatti una buona mezz’ora iniziale in cui la narrazione si prende molto tempo prima di decollare. Poi accelera progressivamente, in una seconda parte del film che sfocia quasi nel thriller. Ma è importante quella mezz’ora, necessaria a entrare in confidenza con i personaggi: le sorelle Chiara e Giulia (Swamy e Grecia Rotolo) e il padre Claudio (Claudio Rotolo). Gran parte di questo primo quarto di film si svolge durante la festa dei 18 anni di Giulia. Il film terminerà poi nuovamente su una festa di 18 anni, in modo deliberatamente circolare. Racchiusa tra queste due feste, la drammaturgia è, chiaramente, studiata con attenzione prima delle riprese.
Lo stesso vale per la messa in scena. All’inizio, Chiara fa sport in palestra, al chiuso, restando ferma sul posto. L’ultima scena la vede allontanarsi verso un campo lungo, correndo lungo una pista di atletica all’aperto. Interno, ferma sul posto/esterno, movimento in avanti: la dialettica ristagno/progressione è palese.
Al di là di queste simbologie, ciò che svela in “A Chiara” un film distante dalle sue stesse premesse di “cinema del reale” è l’impostazione della regia, a diversi livelli, dalla composizione del quadro alla fotografia, dal sonoro alle musiche. Tutte le scelte di Carpignano esaltano il profondo antinaturalismo della messa in scena. Il film ha una qualità fotografica dalla risoluzione volutamente bassa, che Carpignano sembra ostentare, con il ricorso alla camera a mano abbinata a veloci panoramiche a focale lunga, addosso ai personaggi, in primo piano. Si creano così frequenti sfocature o effetti quasi flou che finiscono per conferire al film un'aura incantata, quasi fiabesca, che instaura uno strano rapporto con il nervosismo epidermico delle medesime immagini.
A ciò si accompagna il lavoro sul sonoro. Le musiche extradiegetiche ricordano la colonna sonora di “Respiro” di Emanuele Crialese, sia per il modo di porsi in eterea antitesi con la narrazione, spesso molto cruda, sia per il modo in cui vanno a innestarsi sul sonoro, sovrastando i rumori diegetici che vengono lasciati sfumare, lasciando spazio a un effetto di sospensione. A volte sono extradiegetici persino i rumori e le distorsioni sonore. Le dissolvenze sonore sono cross-fade spesso prolungati.
Il film ha poi almeno una sequenza esplicitamente onirica (Chiara vede un buco nel pavimento, premonizione dei diversi antri di cui si troverà a varcare la soglia, per affacciarsi con i propri occhi sull’orlo dell’abisso, guardarvi dentro fino in fondo, prima di voltare la schiena e scegliere, in prima persona, non costretta, la propria posizione nel mondo). Alla fine, quando nel prefinale Chiara si guarda nello specchio, siamo a un passo dal percepire qualcosa di fantasmatico.
Eppure, l’opera non reggerebbe né sarebbe tanto notevole se non scaturisse saldamente dal “reale” e non mantenesse radici molto profonde nell’humus in cui Carpignano resta fermo, film dopo film. L’elemento di maggior pregio di “A Chiara” rimane la sua connessione tutta particolare di naturalismo e antinaturalismo, il suo modo, personale e maturo, di declinare questo binomio – apparente ossimoro – non poi così raro nel cinema contemplativo di ogni latitudine (da Reygadas a Jia Zhangke).
Se il film ha dei limiti, del resto, si rilevano probabilmente proprio in alcuni passaggi narrativi appena forzati, o dialoghi un po' didascalici, che sono in genere associati proprio ai personaggi (l’assistente sociale) e ai contesti (la parte di ambientazione marchigiana) più estranei e lontani dal contesto calabrese in cui Carpignano si trova maggiormente a suo agio.
cast:
Swamy Rotolo, Claudio Rotolo, Grecia Rotolo
regia:
Jonas Carpignano
distribuzione:
Lucky Red
durata:
121'
produzione:
Rai Cinema, Arte France Cinéma, MK2 Films, Snowglobe
sceneggiatura:
Jonas Carpignano
fotografia:
Tim Curtin
musiche:
Benh Zeitlin, Dan Romer