Sull'avambraccio di Summer (la perfetta Zooey Deschanel), Tom (Joseph Gordon-Levitt) reinventa scorci di Los Angeles con un pennarello. Ariosi profili, sinceri dettagli sulla candida pelle. Ma accecato dalla passione, non si accorge dell'ambiguità nascosta tra quelle dita sottili, delicatamente intrecciate sulla panchina, nella quiete di un parco.
La loro storia, raccontata attraverso lo sguardo idealista e febbrile del protagonista - architetto mancato, impiegato in una società specializzata nella redazione di biglietti d'auguri - salta continuamente tra quei 500 sorprendenti giorni. Flashback agrodolci, montati con stravagante abilità da Alan Edward Bell, sorretti da una spigolosa, insinuante colonna sonora (dove spicca la struggente "Sweet disposition" dei Temper Trap), snocciolano frammenti di un sentimento autentico, universale. Tanto sbilanciato quanto imprevedibile, effimero, crudele, perché quasi mai frutto di aspettative complementari.
Nato per caso, nell'ascensore dell'ufficio, l'amore del giovane si allunga immediatamente verso la luce: puro, romantico, disarmato. Un magico pezzo degli Smiths ("There is a light that never goes out"), affiorato, un giorno, dalla sua auricolare, aggancia l'attenzione di Summer - neosegretaria del boss - e per il timido copywriter è la fine. Ma la volitiva fanciulla, pur contraccambiando il feeling, mette subito le carte in tavola preferendo l'agile, confortevole spazio della leggera complicità all'impegnativa responsabilità. Tom accusa il colpo, ma non si arrende. Il caso, però, ribalterà la vita di entrambi.
Per una volta, il classico teorema dell'uomo che fugge dall'ineluttabile, univoco ardore femminile si rovescia illuminando un'inedita prospettiva, ma il risultato, seppure intrigante, lascia qualche piccola ombra. I modelli di riferimento di questa graffiante opera prima indipendente - presentata in anteprima mondiale al Sundance Festival e approdata con successo a Locarno - si chiamano Gondry, Crowe, Frears e pesano non poco.
Per scacciare, invano, questi illustri fantasmi, il regista americano (con una lunga esperienza di videoclip e spot alle spalle) si concentra sulla scrittura - meticolosa, a tratti assai pungente - e su uno sguardo lucido, disincantato, umoristico ma, allo stesso tempo, assai più malinconico della media (lancinante il primo piano delle mani di Summer e Tom, nuovamente intrecciate sulla stessa panchina quasi in chiusura di parabola).
Gli strumenti narrativi utilizzati, però, come l'eccentrica numerazione dei giorni in sovraimpressione (per scandire il subbuglio temporale/emotivo), gli inserti animati, l'esatta valenza della musica, le divertenti citazioni di Bergman, Truffaut, Lelouch, Nichols, ripercorrono sentieri già tracciati accompagnando il film verso un finale un po' forzato che stempera l'incisività dimostrata.
16/09/2009