Un cast internazionale sui set di Cinecittà, alle prese con un disastroso futuro apocalittico: è "2047 - Sights of Death" il nuovo film di Alessandro Capone.
L'autore ci prospetta un mondo schiacciato da un governo confederato, che mette a tacere ogni oppositore con la forza. L'agente Ryan Willburn (Stephen Baldwin), appartenente all'organizzazione ribelle "GreenWar", è in missione per raccogliere un numero sufficiente di prove per dimostrare tutti i crimini commessi dall'esercito governativo.
Presto Ryan incrocerà sulla sua strada tre ostacoli molto impegnativi: il colonnello Asimov (Rutger Hauer), il maggiore Anderson (Daryl Hannah) e il mercenario Lobo (Michael Madsen).
"Abbiamo ospitato un grande cast con una piccola produzione e realizzato un B movie vecchio stampo", afferma Capone, riferendosi a tutti quei film italiani "fatti in casa" e con ricette semplici, tra gli anni 60 e 70; pellicole di genere, low budget di cui maestri dell'horror come Bava o Fulci erano grandi esperti.
Tuttavia, come disse una volta Michele Soavi, "quel cinema ha fatto il suo tempo", perciò riproporlo oggi con le stesse modalità può rivelarsi una scelta azzardata.
I produttori di "2047", con pochi mezzi economici a disposizione, hanno garantito effetti poco speciali e molto posticci. Tuttavia un film apocalittico- fantascientifico non deve essere inderogabilmente costoso per risultare interessante; ad esempio una pellicola può avere il sostegno di ottimi dialoghi, un buon intreccio, una fotografia esperta o semplicemente una buona idea di sceneggiatura: ma purtroppo "2047" non possiede nessuno tra questi elementi.
La sceneggiatura fa acqua da tutte le parti, creando dei buchi narrativi e dei passaggi poco chiari; anche i dialoghi sono vacui e la costruzione psicologica dei personaggi è pressoché assente.
Gli attori orbitano all'interno di pochissimi ambienti e le scenografie arrangiate fanno assomigliare il set a un garage frequentato da ragazzini, che giocano a "guardie e ladri".
Il sottotesto narrativo si aggancia al motivo ecologico per cui il futuro del mondo è altamente tossico e ricco di radiazioni nucleari: sia buoni che cattivi devono assumere un antidoto costante ai gas nell'aria. L'articolazione di questa idea, trita e ritrita nel genere cinematografico, non è approfondita o indagata e passa in secondo piano rispetto a un altro tema: l'antagonismo tra Willburn e il colonnello Asimov, intermediato dalla figura di Sponge (Danny Glover), padre adottivo del giovane agente. Oltre al contenzioso ideologico, alla base di questo focolaio, sembrano esserci anche ragioni personali, di cui nulla è detto o chiarito.
L'agente è aiutato nella sua missione da un'indigena sopravvissuta a un massacro di cui non si conoscono le cause. Questo personaggio, come gli altri del resto, non ha un background definito, e sembra gettato nel mucchio per sostenere un intreccio senza nodi e svincoli.
Il film assume inoltre un atteggiamento impettito, che non ha alcuna voglia di mettersi in discussione attraverso un'atmosfera più ludica, utile a sdrammatizzare il contesto; e l'idea sfacciata di coinvolgere un cast facoltoso risulta un ossimoro stridete, sulla soglia del ridicolo.
Purtroppo nonostante le ottime intenzioni del suo regista, "2047" è ben lontano dalla gloria dei B movies italiani anni 70 cui s'ispira, perciò non resta che augurare a Capone un futuro registico più originale, capace di trovare nel progresso delle idee una forma più lineare per affacciarsi sul mercato cinematografico.
26/07/2014