“Credono di essere felici, di aver scoperto l’amore. E invece hanno scoperto solo il sesso”. Così filtrate dalla lente bacchettona dell’Italia dell’epoca, le bionde (e nudissime) valchirie svedesi irrompevano sugli schermi nazionali nell’anno 1968. Vietate ai minori di 18 anni, per di più.
L’espediente era quello del “mondo movie”, sorta di strampalato docu-film in voga in quegli anni, volto a testimoniare (o più spesso inventare) usi e costumi internazionali attraverso un sensazionalismo tra lo scioccante e il pruriginoso. “Svezia, Inferno e Paradiso” di Luigi Scattini non si sottraeva al cliché del filone inaugurato da “Mondo Cane” (1962), anche se rispetto al capostipite di Jacopetti aggiungeva quel pizzico di disincanto e ironia che il regista torinese aveva già applicato al suo “Sexy Magico”, in cui alle orrorifiche stravaganze tribali si preferiva un approccio più vicino alla quotidianità della società occidentale.
Con in tasca l’omonimo libro del giornalista del Corriere della Sera Enrico Altavilla, Scattini si cimentava così in un viaggio-inchiesta nella Svezia degli anni 60, avamposto del progresso e dell’emancipazione sessuale, dove le ragazze hanno rapporti tanto precoci quanto disinvolti, e dove il benessere cela una noia esistenziale che spinge al consumo di droghe o persino ai famigerati suicidi (uno dei più vetusti cliché sui popoli scandinavi). Da qui il ritratto a doppia faccia, Paradiso-Inferno, per nulla gradito alle autorità svedesi dell’epoca, al punto che la produzione si impegnò a non farlo mai uscire in quel mercato. Il destino volle però che la pellicola finì sulla tv nazionale svedese proprio la sera di Natale (!) scatenando un caso diplomatico con Stoccolma, che mise al bando per anni il regista dal territorio nazionale.
In Italia, invece, il film fu un clamoroso successo, con quasi un miliardo e mezzo di vecchie lire incassate, nonostante il divieto ai minori e l’anatema della critica, probabilmente disposta a digerire meglio le rampogne bigotte che le scene osé o le battute politicamente scorrettissime della voce narrante Enrico Maria Salerno (tipo: “Il nero, si sa, va bene su tutto”, ad accompagnare l’ingresso in scena di quattro ragazzi di colore al ritmo di tamburi martellanti).
Un trip al Vermouth
Ma se il film, pur nella sua curiosa visionarietà, appare tremendamente datato, la sua colonna sonora si rivelerà avanzata più o meno quanto lo era la Svezia rispetto all’Italietta dell’epoca. E il merito va tutto al suo artefice: Piero Umiliani, uno dei massimi (e più sottovalutati) geni della
soundtrack music tricolore.
Quello tra Scattini e il maestro fiorentino è un sodalizio a prova di ferro, già testato da due prove (“Due marines e un generale” e “Duello nel mondo”) e destinato a proseguire per tutta la filmografia del regista torinese. Opere spesso tutt’altro che memorabili, ma si sa che la produzione di genere dell’epoca poteva contare sempre su straordinari contributi musicali. A ispirare Umiliani in “Svezia, Inferno e Paradiso” era la varietà delle situazioni proposte nel film, che gli consentiva di spaziare con disinvoltura dal pop alla bossa nova, dal funk all'exotica e all’easy listening, coniugando il tutto con la sua peculiare sensibilità jazz. Ne scaturisce una colonna sonora epocale, che anticipa decenni di lounge-music - incluse le sue rielaborazioni in salsa
trip-hop, jungle e drum'n'bass - gettando le basi per un’intera saga musicale.
Ai 14 brani presenti nell’Lp originario edito da Omicron nel 1968, si sono aggiunti nel tempo tutti gli altri inclusi nel film e raccolti ora integralmente nella preziosa ristampa DigiBeat, portando alla luce un prisma versicolore di suoni e atmosfere 60’s, un vertiginoso cocktail-party, dove a ogni sorso di Vermouth (o di Martini) si aggiunge un pizzico di straniamento in più. Perché è un vero viaggio mentale, quello di Umiliani, un’orgia gentile tra sirene in topless e hippie flippati, inafferrabili modelle che ballano lo shake e sogni di mezza estate. Una dolce allucinazione psichedelica tra i neon di Stoccolma e la spiaggia di Ipanema. E il
trip non è solo una suggestione: basterà calarsi nei 2’27’’ della “Sequenza psichedelica” o nelle successive “Violenza” e “Fotomodelle” per farsene un’idea.
Del resto, è solo un inveterato cliché quello che vuole easy listening e lounge (il cosiddetto "blues dell'uomo bianco") funzionali unicamente a smussare gli angoli, rassicurare, rilassare, magari come sottofondo per una cena del jet-set o una scorribanda in coupé di qualche stagionato playboy. Come mastro
Bacharach insegna, infatti, dietro il più canticchiabile dei ritornelli o il più vellutato dei tappeti d'organo, può nascondersi quell'improvviso crescendo orchestrale o quel flusso rapinoso di violini in grado di scavare abissi sconfinati di malinconia.
Da Stoccolma all'Arcipelago
"Svezia, Inferno e Paradiso" è dunque una babele di suoni e atmosfere, nella quale però si può individuare un tema portante: quello dell’iniziale “You Tried To Warn Me”, sontuosa melodia orchestrale dominata dall’ugola dolcemente jazzata di Lydia McDonald, poi ripresa con arrangiamento più eccentrico e ritmo più serrato in “Stoccolma My Dear” (bel dialogo tra l’organo Hammond di Antonello Vannucchi e il twang della chitarra di Carlo Pes, coi
vocals acrobatici dei Cantori Moderni di Alessandro e Giulia Alessandroni), direttamente al clavinet dallo stesso Umiliani in “Notte di mezza estate” (sorta di
baroque-bossa impreziosita dai gorgheggi della soprano Edda Dell’Orso) e in chiave più jazz in “La signora cameriera”, con il fischio di Alessandroni, destinato a divenire immortale – come la stessa Dell’Orso - grazie alla saga spaghetti-western di
Morricone.
Altro tema ricorrente è l’arioso “Solitudine”, già incluso nell’Lp originario in 4 arrangiamenti (per orchestra d'archi; in chiave slow jazz; per il coro de I Cantori Moderni e infine in formato-ninnananna su “Sleep Now Little One”, con parole scritte e interpretate dalla McDonald) ai quali va ad aggiungersi la versione inedita – e ancor più struggente - con Gato Barbieri al sax tenore. Il leggendario sassofonista argentino compare in altri due episodi, anch'essi rimasti inediti per molto tempo: “Free In Minore” - una sequenza di variazioni tonali e di note suonate sul registro alto, accompagnata dal solo contrabbasso di Giovanni Tommaso - e nella sensuale “Piano Bossa Nova”, che si libra leggera sulle cadenze danzanti del piano di Umiliani.
Quando il cima si surriscalda in mezzo a “Le ragazze dell’Arcipelago” – raffigurate senza veli sulle scogliere svedesi in copertina - anche Umiliani spinge sull’acceleratore, aprendo alla big band e dispiegando tutta la potenza orchestrale della sua exotica-lounge. Ma è un’eccezione, perché tutti gli altri arrangiamenti sono imperniati solo sul quartetto dei Marc 4 (oltre a Vannucchi e Pes, Maurizio Majorana al basso e Roberto Podio alla batteria). A loro e ai Cantori Moderni è affidata l’esecuzione di brani come “Fotomodelle”, “L'uomo integrato” e “Topless party” (che riprendono il tema de “Le ragazze dell'arcipelago”), “Essere donna” - a tempo di swing, con tanto di schiocco delle dita e vocalizzi degli Alessandroni e di Dell'Orso - “Sequenza psichedelica”, “Violenza”, “Nel cosmo” (audace esperimento di proto-elettronica aliena), “Eva svedese” - con solo di Hammond e
groove funk – le virtuosistiche “Hippies #1 e #2”, “Organo e chitarroni” e “Beer, Vermouth e Gin”: tutti episodi che si destreggiano tra influenze beat/shake ed esecuzione jazz-pop.
Viva la sauna svedese
Un capitolo a parte merita la storia della celeberrima “Mah-nà mah-nà”, aggiunta quasi per scherzo e divenuta a sorpresa la vera hit del disco. Sul nastro avanzava dello spazio per la scena (s)cult delle ragazze svedesi che uscivano da una sauna a 80 gradi vestite solo del loro sudore per rotolarsi sulla neve. Umiliani prova a improvvisare un tema sbarazzino al piano, tre note in croce. Gli vanno dietro i Mac 4 e Alessandroni s'inventa un motivetto scemo cantando con voce gutturale da cartone animato. Viene ironicamente intitolato "Viva la sauna svedese" e sembra solo un
divertissement. Invece è un trionfo.
Inizialmente scartato dall'Lp originale, il pezzo riappare nell'edizione pubblicata negli Usa, dove i discografici pretendono che ne sia anche il brano-guida, stampandolo su 45 giri. Serve solo un titolo meno sbrigativo, ecco allora la traduzione più canticchiabile possibile: “Mah-nà mah-nà”. Basterà qualche passaggio radiofonico per scatenare il finimondo: centinaia di ascoltatori intasano i centralini delle stazioni Fm per chiedere quale sia il titolo del disco. Il brano assurge in breve a tormentone
nonsense universale, buono per gag comiche, jingle, spot pubblicitari. Entra anche in classifica. Finché la sera del 27 novembre del 1969 finisce addirittura in bocca a uno dei Muppets, identificato proprio come Mahna Mahna. Da qui in poi, la sempiterna fama, tra cover, rielaborazioni e omaggi di ogni sorta. Nel disco la canzone sarà ripresa con arrangiamento brasileiro in “Samba Mah Na'”.
Nell'edizione DigiBeat rientreranno anche due inediti, variazioni del primo tema: l’ipnotico “Viaggio nell'inconscio”, con i Marc 4 e i
vocals di Dell'Orso, e “Contestazione”, a ritmo di shake, con la chitarra
fuzz di Pes in primo piano.
Visionario, spiazzante, eppure incredibilmente coeso, “Svezia, Inferno e Paradiso” resterà il monolite lounge definitivo di Piero Umiliani, la testimonianza più affascinante del suo genio di compositore, arrangiatore, ma anche temerario musicista: nel disco, infatti, oltre a suonare il piano e il clavinet, si cimenta con una sorta di sintetizzatore di archi autoprodotto, composto da un registratore Ampex a 16 tracce con tastiera propria. “I violini sono stati registrati su ciascun canale - ricorderà Umiliani - Era uno strumento nuovo di zecca e l'avevo chiamato
Sarchiapone” (dal nome dell'animale immaginario ideato da Walter Chiari in un celebre sketch televisivo).
Innumerevoli tentativi d'imitazione seguiranno, più o meno riusciti, mentre Umiliani non rinuncerà mai alla sua ricerca di musicofilo onnivoro, combattendo anche contro un ictus, fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 2001. Ma ogni volta che sullo stereo torneranno a girare i suoni di questa smisurata babilonia svedese, non si potrà non restarne catturati. Prigionieri della sindrome di Stoccolma da qui all'eternità.
Contributi di Gianmarco Diana (ColonneSonore.net)