Dopo lo strombazzato concerto autocelebrativo al Super Bowl dello scorso anno e il riavvicinamento alla Edm più in voga con il singolo “The Cure”, sarebbe stato facile prevedere un ritorno di Lady Gaga in vesti nuovamente eccentriche e pronta come non mai ad azzannare le classifiche per lasciarsi alle spalle la parentesi più intimista ma non del tutto gratificante di “
Joanne”. Evidentemente però l’ennesimo e ormai acclamato
remake di “A Star Is Born” era già in cantiere e la colonna sonora di accompagnamento, anche e soprattutto per motivi di copione, ha finito con l’avere più di un punto un comune col suo precedente album.
Fortunatamente per lei, però, stavolta il lavoro sporco è stato affidato a quella che possiamo considerare l’inaspettata rivelazione di questo progetto, ovvero la pastosa voce di Bradley Cooper, perfettamente calato nel ruolo di
bluesman consumato. Spetta infatti all’attore/regista trainare quasi tutti i momenti più anacronistici e profondamente americani del disco (altrimenti detto, quelli meno appetibili per il resto del mercato mondiale): dalle poderose cavalcate rock in zona
Audioslave (“Black Eyes” e “Alibi”) alle polverose ballate da
saloon (“Out Of Time” e “Too Far Gone”) saltellando qua e là tra le più prevedibili cadenze country (“Diggin’ My Grave”). In questo modo la Germanotta è quindi libera di dedicarsi quasi esclusivamente a ciò che ultimamente sembra riuscirle particolarmente bene e mettere in risalto la sua tecnica vocale, le ballate strappalacrime.
In a “Star Is Born” solo a tratti non riesce a tenere a freno la sua ormai proverbiale attitudine a enfatizzare eccessivamente i pezzi (la rilettura de “La Vie En Rose” si addentra pericolosamente in territori parodistici) come quando nel bel singolo “Shallow” gonfi vocalizzi appesantiscono inutilmente un memorabile
refrain altrimenti degno di “Bad Romance”. Peccati veniali, le Academy degli Oscar e dei Grammy andranno comunque in brodo di giuggiole nello scegliere se premiare questo pezzo o altri qui presenti come “I’ll Never Love Again” “Before I Cry” o “Is That Alright” tutti scritti col supporto del manuale della perfetta ballata cinematografica, sicuramente utilizzato a suo tempo dai produttori di “The Bodyguard”, “Grace Of My Heart” e “Dreamgirls”. Lady Gaga dà il meglio di sé quando smette definitivamente i panni di reginetta pop per inseguire altri e più forbiti modelli, da Carly Simon (“Always Remember Us This Way”, il lento più meritevole del lotto) a
Carole King (la deliziosa “Look What I Found”, spruzzata di soul in coda) passando, e non poteva essere altrimenti, per Barbra Streisand (“I Don’t Know What Love Is”, uno dei tanti duetti con Cooper).
Nonostante il nuovo adattamento della pellicola sia ambientato nei giorni nostri, durante l’ascolto della colonna sonora si respira una curiosa e tutto sommato confortevole atmosfera vintage, come se la maggior parte dei suoi brani sia stata concepita non soltanto con lo scopo di far schizzare alle stelle la glicemia degli ascoltatori ma anche di suonare come classici senza tempo. E’ per questo che quando sul finale della tracklist saltano improvvisamente fuori dei pezzi più contemporanei nel sound, ci si sente quasi traditi e infastiditi. Succede soprattutto perché, nonostante “Heal Me” sia innegabilmente carezzevole, né la brezza tropical di “Why Did You That” o i synth di “Hair Body Face” (più protesa ai bei tempi andati di “The Fame”) potrebbero mostrare orgogliosi la garanzia di futuro classico.
Li si perdona però per esigenza di trama, i brani sono presentati in ordine di apparizione nella pellicola (e, nella versione principale, intervallati da evitabili stralci di dialoghi) e seguono quindi la trasformazione stilistica dei due personaggi, con la protagonista Ally destinata suo malgrado diventare la classica
popstar iper-prodotta e coreografata prima del pentimento e ritorno all’essenza della musica. Un percorso che in questo momento non potrebbe apparire più simpatetico a quello di Lady Gaga. Nel futuro prossimo sarà curioso e interessante capire se la Germanotta stia soltanto recitando o se abbia definitivamente deciso di appendere maschere e lustrini al chiodo; Las Vegas la sta per accogliere a braccia aperte, ma il pubblico, laggiù, sarà quello di Celine Dion o di
Britney Spears?