Chi conosce il cinema di Baz Luhrmann sa che il regista australiano non ha paura dell'eccesso e del kitsch. I suoi film più celebri, come "Romeo + Giulietta" o "Moulin Rouge", mescolano con piglio iconoclasta storie d'amore impossibili e immortali trasportandole in una realtà indefinita e fuori dal tempo, tra passato e presente. Un'idea di cinema spesso coraggiosa, talvolta eccessiva, che nell'ultima produzione di Luhrmann, l'atteso e costoso adattamento de "Il grande Gatsby" di F.Scott Fitzgerald, rischia di farsi maniera ed annoiare. Se gli spregiudicati accostamenti in colonna sonora sono da sempre un marchio di fabbrica del regista, qui il giochetto è portato alle estreme conseguenze.
La vicenda è infatti ambientata all'inizio degli anni '20, ma le musiche mescolano, in maniera abbastanza gratuita, hip hop e jazz, elettronica e charleston, alternative rock e Gershwin. Prodotto nientemeno che da una superstar rap come Jay Z (che compare nella raccolta con l'ottimo inedito "100$ Bill" e con l'ormai celebre "
No Church in the Wild", assieme a
Kanye West) l'album della colonna sonora è assemblato furbescamente con un occhio alle classifiche (e difatti è incollato alla top 10 della classifica Billboard da settimane) ma nonostante il marasma di stili e influenze, funziona piuttosto bene, e restituisce la visione di Luhrmann con efficacia anche superiore alla pellicola stessa. Preso atto che la grandeur e il kitsch sono inscindibili dalla messa in scena del regista, non stona la
disco caciarona e trash di Fergie, Q Tip e Goonrock ("A Little Party Never Killed Nobody") così come il
charleston che si trasforma in
electro dell'altro Black Eyes Peas, Will.I.Am ("Bang Bang") veri e propri fuochi d'artificio che scatenano le masse durante i folli party del milionario Gatsby.
Lana Del Rey provvede al
love theme principale, "Young and Beautiful", e convince, proprio perché la sua traccia rincorre con tale veemenza la maniera e i cliché della
love ballad (con tanto di coda orchestrale arrangiata dal talentuoso
Craig Armstrong) da suonare infine come un "nuovo classico". Meno emozionante l'ormai onnipresente
Florence + The Machine, che con la sua "Over the Love" cita la "luce verde" cara ai fan del capolavoro di Fitzgerald, ma non va oltre la prova di un virtuosismo vocale fine a sé stesso e ripetitivo.
Meglio la versione glaciale e sintetica della celeberrima "Back to Black" di
Amy Winehouse ad opera del duo André 3000 (degli
Outkast) e
Beyoncé, e ancora meglio
Jack White che trasforma la meditabonda e struggente "Love is Blindness" degli
U2 (da "Achtung Baby") in un torrido e violento blues nel suo stile. Spunta anche
Bryan Ferry con un orchestrina ad hoc, con cui interpreta una versione jazzata della "sua" "Love Is the Drug", e con cui si scatena poi in "Crazy in Love" di Beyoncé, accompagnato alla voce da
Emeli Sandé: nulla più che due parentesi scherzose e piacevoli. Ben altri toni per i
The XX che con la loro "Together" contribuiscono con il brano più tenebroso e minimalista dell'album (superiore a tutto il loro, deludente, secondo disco "Coexist", sia detto), mentre il gran finale è affidato alla strepitosa voce di Sia ("Kill and Run"), a cui la
ballad strappalacrime al pianoforte riesce con molta più classe rispetto alla collega Florence.
Se episodi come quelli di
Gotye ("Hearts a Mess", che si ascolta sui titoli di coda) e Nero ("Into the Past") sono indubbiamente meno significativi e memorabili rispetto a quelli precedentemente citati, quello di Coco O. (vocalist dei
Quadron) è invece tra le chicche della colonna sonora, altra sapida commistione tra atmosfere decadenti e elettronica, su cui non si può non ballare.