Che le recenti partiture di Howard Shore dialoghino costantemente con l'arte di Richard Wagner è un fatto ormai assodato, eppure non si può fare a meno di rimanere affascinati dall'inesauribile trama di rimandi e citazioni, di cui è costellata la colonna sonora di "A Dangerous Method". Ciò che sorprende è soprattutto la capacità del compositore di declinare le trame melodiche secondo un paradigma, che, muovendo dalla riesumazione di motivi wagneriani, si struttura su un modello estetico tipicamente cronenberghiano, riflettendo quel principio di contaminazione (della materia, della forma, della psiche), in cui affonda la ricerca stilistica del regista canadese.
Per questo motivo i leitmotiv associati ai personaggi non sono da considerarsi come cellule statiche, emblemi sonori di un'interiorità univocamente definita e, tutt'al più, declinabile in minime variazioni per esigenze drammaturgiche, ma come veri e propri organismi, che interagiscono tra loro, instaurando mutevoli trame di rapporti e contagiandosi a vicenda, secondo un principio di mutua alterazione potenzialmente inesauribile. E' ciò che accade con il tema di Miss Spielrein, in cui l'iniziale tensione dei violini si appoggia presto sull'ostinato cavernoso e viscerale del pianoforte, che recupera il disegno melodico di "Burghölzli", sino a sfumare nella distorta frase conclusiva degli archi. La fisicità prorompente e quasi plastica del brano, attenuata da un oboe sospeso e meditabondo in "He's very persuasive", viene recuperata nelle modulazioni circolari di "Reflection", in cui gli eterogenei innesti tematici desunti dalla Tetralogia di Wagner si compenetrano con le melodie shoriane, mutandone forme, ritmi e sonorità, in un processo di continua rielaborazione.
Si cadrebbe, però, in errore nel rilevare in questa pratica la semplice destrutturazione di un modello classico, degradato al ruolo di pura citazione. Ciò che interessa a Shore è la costruzione di una trama di rapporti sonori, capace di riflettere l'insondabile tortuosità della mente umana: per questo Wagner non rimane una presenza suggerita distrattamente nel mare di dialoghi che sommerge il film, ma viene assunto a modello compositivo. In tal modo, abbandonato il ruolo di banale etichetta associata ai personaggi, il leitmotiv diventa, per dirla col maestro tedesco, un "momento plastico del sentimento", cioè l'espressione privilegiata del fluire della coscienza; un divenire interminabile di motivi melodici, la cui forma originale assume contorni sempre più imprecisi ad ogni ripetizione, e pronti, nella loro mutevolezza, a scandagliare la disperata interiorità dei personaggi che ritraggono.
Non è certo un caso che l'ultimo brano della raccolta sia una trascrizione per pianoforte del "Siegfried Idyll", una delle opere più intimiste di Wagner, in cui al consueto dispiegamento di travolgenti sonorità orchestrali, si sostituiscono le note private, assorte e suggestive scritte per il trentatreesimo compleanno della moglie. Coadiuvato dalla precisione tecnica del pianista Lang Lang (qui più contenuto che nelle parentesi dissacranti delle sue frenetiche esecuzioni chopiniane), Shore articola una serie sorprendente di variazioni sul tema wagneriano, abbozzando i contorni di uno spazio più mentale che fisico, in cui gli spunti melodici non prendono corpo in una forma definitiva, ma rimangono sospesi nel vuoto di una realtà solo possibile, frenati, nella loro germinazione, dall'ingresso di nuovi sviluppi e nuove melodie, fino ad esaurirsi nell'atmosfera di vibranti trilli e soffusi accordi in pianissimo.
In questo magma di temi ibridi, transitori e contaminati non mancano invenzioni dal sapore tipicamente shoriano (come l'ingresso poderoso degli ottoni e l'inattesa esplosione degli archi nel primo brano della raccolta o, ancora, l'ampio respiro dei fiati in "Vienna"), ma rimangono, in definitiva, i momenti meno interessanti di una partitura capace di scavare nel profondo delle contraddizioni umane sino a rilevare con efficacia i nodi inafferrabili della coscienza.