Dai tempi di "Spider" (2002) - passando per "A History of Violence" (2005) - David Cronenberg sembra aver adottato una sterzata nei confronti del suo "estremo" cinema passato: inizialmente imparentato con il migliore e lontano B-Movie Usa, poi già tra gli 80 e i 90 dallo stile gelido e controllatissimo. In realtà ci troviamo di fronte a un approdo maturo, di raro coraggio più che di convenzione verso le leggi della ricca Hollywood: l'autore canadese è riuscito a immergere la sua "poetica del corpo" in un contesto dove classicismo non coincide mai con banalità e riconciliazione, e "Eastern Promises" ne è un esempio folgorante.
Ci troviamo difatti davanti a un vero e proprio noir all'interno del quale sono riscontrabili le caratteristiche cardini del genere: una morte, buoni e cattivi, una ragazza combattiva e (forse) in pericolo, un destino (o forse più) da segnare, il passato che, imperterrito, macchia di sangue il presente. Ed è proprio quest'ultimo tema che ne fa una sorta di corollario di "A History of Violence", che secondo chi scrive è in assoluto il capolavoro di Cronenberg.
Si parte da passi di diario che fluttuano durante tutto il corso degli eventi. Il versante noir è dunque riconducibile essenzialmente al già vissuto, e gli spettatori si pongono in perenne stato di tensione per eventi di vite passate pronte a macchiare vite future. In questo senso, se mettiamo da parte le sorti del neonato, i personaggi interpretati da Viggo Mortensen e Naomi Watts non assumono ruoli necessariamente di primaria importanza, ma dato che la mafia russa, impersonificazione del male, è un demone non curabile, i loro sforzi appaiono come segnati da una sorte già scritta: il finale, sussurrato, apparentemente buonista e lieto, si staglia sul volto di Nikolai e sembra quasi inchiodarlo in un circolo inesorabilmente macchiato di sangue, che fa sembrare ciò che abbiamo visto fino a quel momento soltanto un passaggio della sua vita, che non potrà che contenere innumerevoli fasi riconducibili a quelle già vissute, in attesa di una morte annunciata.
Il Nikolai di Viggo Mortensen sa di non poter uscire vincitore dalla sua esistenza: è un vinto che vive alla giornata, e quotidianamente lotta affannosamente per uscirne vivo, ed è sotto quest'ottica che la scena della sauna (giustamente già divenuta cult) assume connotati "alti". E' come trascrivere la voglia di vita, tra vapori e mattonelle, tra fluttui di sangue e corpi martoriati, nonostante essa abbia assunto ineluttabili connotati amari. E' la voglia di potersi dire uomo, essere umano e non macchina segnata da tatuaggi che quasi hanno rubato il flusso degli avvenimenti al futuro stesso.
Mortensen (che sarebbe il caso di ammirare in versione originale per apprezzare a dovere i suoi sforzi per riprodurre un credibile accento russo) è meraviglioso nelle quasi impercettibili gamme espressive poste su di un volto che non ha paura di mostrare i segni dell'età, nel recitare con tutto il suo corpo. Uno sforzo non indifferente che, non fosse per la poca credibilità assunta con gli anni dal premio, vorremmo veder premiato con l'Oscar. Ma il resto del cast non è da meno.
Sceneggiato da Steve Knight, già autore del copione di "Piccoli affari sporchi" di Frears, "La promessa dell'assassino" è un film lucido e mai accademico; terribile per come applica quei mutamenti del corpo, tanto cari al regista canadese, in una realtà tragicamente realistica. Nerissimo!
cast:
Viggo Mortensen, Naomi Watts, Armin Mueller-Stahl, Vincent Cassel, Sinéad Cusack, Jerzy Skolimowski
regia:
David Cronenberg
titolo originale:
Eastern Promises
distribuzione:
Eagle Pictures
durata:
100'
produzione:
Canada/Gb/Usa
sceneggiatura:
Steven Knight
fotografia:
Peter Suschitzky