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recensione di Davide Spinelli
4.5/10

Marco Carrera (Pierfrancesco Favino), medico, da piccolo la madre lo chiamava “colibrì”, perché minuto, prima della cura ormale, vive a Roma, ha una figlia, è sposato con Marina (Katia Smutiniak), ma ama Luisa Lattes (Bérenice Béjo), una ragazza conosciuta al mare da giovane, e con Giovanni (Alessandro Tedeschi), il fratello, non si parlano dalla morte di loro sorella Irene (Fotini Peluso); l’incontro con Daniele Carradori (Nanni Moretti), lo psicanalista della moglie, è l’innesco “di una storia con molti altri centri”.

Fil Rouge

La figlia di Carrera, Adele, da piccola, è convinta che un filo la leghi al muro, se qualcuno le passa dietro, lei, veloce, le gira attorno e lo snoda. È l’idea di Archibugi, seguire il fil rouge del romanzo di Veronesi, lo fa propria pedissequa, il controcampo prolessi e analessi funziona, avanti e addietro, non era facile, però resta statico, o meglio, la diacronia del romanzo, che Veronesi spinge, istiga, torna un fenomeno sincronico, lineare; lo dimostra, non a caso, la morte di Adele, la più improvvisa del libro, che nella pellicola si accoda alle altre, non rappresenta un picco da climax, eppure Carrera lo ripete nel film che la morte di una figlia è una cosa diversa, ma Archibugi l’ha metabolizzato a pezzi il magma narrativo di Veronesi, vertiginoso, ne “Il colibrì” anche inverosimile, e nel film ironico, troppo, retorico, soprattutto il personaggio di Nanni Moretti, che, per esempio, nell’agnizione iniziale strappa più di un sorriso - cioè l’istantanea di un film che è registicamente migliore di “Vivere” (e ci voleva poco), ma si consegna al romanzo, eppure è – o dovrebbe essere – altro. Persino Favino è un po’ spento, chiuso in un accento fiorentino intermittente, e strozzato in una camera che non gli dà spazio, al contrario dell’ossessione di Archibugi per gli inframezzi panoramici, o movimenti apparenti, zoom obliqui, perché deve passare un po’ di tempo. E il resto del cast, in valore assoluto indiscutibile, segue Favino, resiste alla regista, i giovani, Peluso, Centorame, in particolare, ma l’architettura corale è disartrica, manca coordinazione – chi ha truccato Smutniak nelle ultime scene?! -, peccato, perché, ripetiamo, l’alternanza flashback flashfoward è il gioco (registico) che nel complesso tiene a galla il film, forse.

“Si, sono io, Marco Carrera”, la chiamata in cui il protagonista apprende della morte della figlia, a cui Archibugi torna, più volte, ma non è l’enfasi, la necessità di un punto di accumulazione, o un agghiaccio narrativo, per lo spettatore, un vertice iniziale che conferma l’idea (temporale) erronea che il film veicola, orizzontale e non verticale, anche a livello empatico: Veronesi, nel romanzo, soprappone i recitati, piccole prigioni transitorie, fardelli incassati nella memoria, vasi non comunicanti, vertigini e vicoli ciechi; al contrario, la struttura orizzontale di Archibugi, a scomparsa, accavalla, ripete, nessun "destino tra persone è deciso dall'inizio". 

“La forma di ogni cosa è compiuta nel suo primo manifestarsi”

Inverosimili, si, coincidenze, conoscenze, quella di Marco e Marina, colpi di scena improbabili, elissi inspiegabili, l’ossessione della morte, presenza-assenza, che forse Archibugi non ha capito e gestisce male, ripropone, quindi, il corpus multiforme, non lo introduce, fuori ritmo: qui si giocava gran parte della storia, sulla morte, la sua ossessione, quanto sia un topos narrativo, abusato, strumentalizzato; a tratti, forse, persino Veronesi ci è cascato, perché il lutto, come elastico narrativo, è, si sa, seducente, ma la scelta “paracula” – sovraporre discorso e metadiscorso - va amministrata, altrimenti si ritorce contro, e, come in questo caso, il materiale non è plasmato ma trasportato, dalla pagina allo schermo. Non l’epilogo però – criticato anche dai lettori; esagerazione? -, a cerchio, non in fila, attorno al malato, formazione Stonehenge, ancestrale, a dimostrazione che qualcosa, nel trasporto, si è perso, e forse l’impronta antimanzoniana – l’unico indirizzo registico evidente – mette fuori strada il tema del gioco, dell’avidità, del risentimento; serviva più attenzione al miracolo che racconta il romanzo, in che modo la vita vissuta è ancora vita?


13/10/2022

Cast e credits

cast:
Pier Francesco Favino, Kasia Smutniak, Laura Morante, Francesco Centorame, Fotini Peluso, Nanni Moretti


regia:
Francesca Archibugi


distribuzione:
01 Distribution


durata:
126'


produzione:
Fandango con Rai Cinema, Les Films des Tournelles, Orange Studio


sceneggiatura:
Francesca Archibugi, Laura Paolucci, Francesco Piccolo


fotografia:
Luca Bigazzi


montaggio:
Esmeralda Calabria


musiche:
Battista Lena


Trama
Marco Carrera, medico, da piccolo la madre lo chiamava "colibrì", perché minuto, vive a Roma, ha una figlia, è sposato con Marina, ma ama Luisa Lattes; l’incontro con lo psicanalista della moglie è l'innesco "di storia con molti altri centri".